Ieri sera a Place de la Republique a Parigi, mentre una folla festeggiava il grande risultato della sinistra alle elezioni e (soprattutto) il pessimo dell’estrema destra lepeniana, a un certo punto tra la gente è apparsa un’enorme bandiera palestinese. Oggi più che mai è diventata un simbolo identitario, di adesione a un sistema di valori (oltre che di denuncia di una situazione inaccettabile). Ce lo aveva detto l’artista italo palestinese Laila Al Habash: “Se Israele voleva cancellare l’identità palestinese, l’ha resa più forte che mai”.
Cortei proPalestina sono ogni giorno nel mondo. Tante le città italiane che si sono mobilitate. Qualche settimana fa ero a Palermo per una conferenza musicale e, dalle parte di via Maqueda, mi aveva colpito il numero di scritte sui muri dedicate alla causa e i volantini che annunciavano manifestazioni, quasi una ogni giorno nei giorni a seguire.
Le ha documentate tutte fotograficamente Alberto Salerno aka Buzzy Lao, cantautore torinese trasferito a Palermo da alcuni anni. Numerose manifestazioni, dall’ottobre 2023 a poche settimane fa, scattate con una Leica analogica degli anni ‘70. “Gli scatti” spiega “si concentrano sulle emozioni, i gesti e le espressioni con cui uomini, donne e bambini partecipano a questi raduni e in cui la rabbia e la commozione si vogliono sostituire alla rassegnazione e all’indifferenza”.
Ad accompagnare le foto (che qua potete vedere in anteprima), un nuovo brano, Zohra, parola che in arabo “racchiude tanti significati legati all’aurora, l’alba e la bellezza”, e che qui diventa il nome di una giovane donna musicista in fuga dal suo Paese d’origine perché “colpevole di produrre bellezza”. L’ispirazione viene da Zohra, la prima orchestra femminile afghana, formata da giovani donne musiciste tra i 13 e i 20 anni che hanno dovuto espatriare in seguito alla salita al potere del regime talebano. Il brano mette assieme blues e roots reggae, ed è stato prodotto da Florian Monchatre (Fatoumata Diawara, Blick Bassy, Tinariwen) tra Parigi e Palermo. Gli abbiamo fatto alcune domande.
Da quanto vivi a Palermo?
Dall’autunno del 2018. Un quel periodo mi ero trasferito temporaneamente in città per registrare il secondo disco Universo / Riflesso, ma già sapevo che se mi fossi trovato bene come pensavo sarei rimasto, è un qualcosa che già sentivo da tempo. Prima di quel periodo ero sempre in movimento, tra concerti e trasferimenti vari sentivo il bisogno di trovare un posto in cui sentirmi a casa ma che allo stesso momento mi stimolasse e mi mettesse alla prova, cosa probabile ma difficile da ottenere nella città natale per un’anima ‘girovaga’ come la mia. Poi Palermo in realtà è una città che avevo già conosciuto anni prima lavorando al primo disco, HULA, che avevo deciso di produrre insieme al team di Indigo di Fabio Rizzo, Donato Di Trapani e Francesco Vitaliti. In quel mese di registrazione dell’aprile del 2015 sono rimasto inaspettatamente folgorato dalla città perché sono stato accolto con un calore davvero speciale, dal primo giorno ho stretto dei bellissimi legami di amicizia che durano tutt’ora ed è questo che mi ha fatto ritornare sull’isola diverse volte negli anni successivi. Così con la scusa di tornare per un concerto mi organizzavo per restare qualche giorno in più fino al momento in cui ho deciso di fermarmi per mettere radici.
Cosa ti dà questa città?
Dal punto di vista artistico Palermo è una città vivissima, piena di idee e piena di artisti, è davvero difficile non sentirsi ispirati, e lo stile di vita è ideale per chi lavora con la creatività. La lontananza dalle possibilità che offrono le grandi città del Nord per me sono totalmente compensate da uno stile di vita che amo, più lento, se vogliamo più sano e più a contatto con la natura. Mi capita spesso di non riuscire ad andare al mare in giornate in cui sarebbe ideale farlo ma so che è lì a pochi passi e questo per me è impareggiabile.
Giri sempre con una fotocamera per la città?
Ogni giorno e in qualsiasi situazione, anche quando so che uscirò per 5 minuti, mi sono imposto di farlo per abituarmi a non pensarci più, è forse l’unico modo per allenare e sviluppare un proprio linguaggio fotografico. Per anni l’ho fatto con una camera digitale che cercavo di portarla in ogni viaggio ma spesso la lasciavo a casa perché banalmente dimenticavo di ricaricare la batteria oppure era troppo ingombrante. Poi qualche anno fa ho scoperto la fotografia analogica provando a usare una vecchia macchina fotografica di mio padre e da li mi si è aperto un mondo totalmente nuovo che ho sentito subito mio, compresa l’emozione che si prova mentre si aspetta di vedere cosa nascondono i rullini non ancora sviluppati. Oggi porto sempre con me una Leica degli anni ‘70 che essendo analogica ha tanti difetti che per me in realtà sono pregi. Non ha bisogno di essere ricaricata se non dei rullini ed è sempre pronta a scattare, è silenziosa e discreta. L’uso della pellicola inoltre ti stimola a usare l’immaginazione perché non puoi vedere immediatamente il risultato, in qualche modo ti costringe a vivere e goderti il presente.
Di cosa vai in cerca?
Con un occhio attento si può intravedere qualcosa di speciale anche nell’ordinario, dove in genere non ci si aspetta nulla. Personalmente sono sempre molto attratto dall’autenticità, in ogni contesto, e quindi non mi pongo limiti, ma con il tempo ho capito che se qualcosa mi ruba lo sguardo per più di qualche secondo allora merita uno scatto. Solo a posteriori, quando sviluppo i rullini e vedo i risultati, a volte anche a distanza di mesi, sono in grado di capire se il mio inconscio aveva visto bene o no.
Quando e perché hai iniziato a frequentare le manifestazioni pro Palestina?
Palermo è una città dove vivono tanti stranieri e tante comunità straniere sono in stretto contatto tra di loro. Quando sono cominciati gli attacchi in Palestina, insieme alla rabbia e al desiderio di protesta si è percepito anche un grande senso di unità tra persone di diversa nazionalità unite dalla stesso spirito. Durante una delle prime manifestazioni ho sentito una sensazione che dimenticherò mai: il popolo palestinese, suo malgrado, era riuscito a rappresentare tutti i popoli e tutte le comunità che hanno subito o che continuano a subire delle ingiustizie. Infatti, insieme alle bandiere della Palestina si agitavano anche bandiere di molte altre nazioni, africane, sudamericane e asiatiche, comunità che a Palermo sono molto radicate.
A un certo punto hai cominciato a scattare. Cosa ti ha mosso?
Ho sentito il bisogno e il dovere come artista di documentare e sintetizzare questo sentimento tramite le mie personali forme di espressioni che sono appunto la musica e la fotografia. Passioni che non diventano solo un lavoro, ma anche il modo migliore che conosco per donare qualcosa con tutto me stesso, senza chiedere qualcosa in cambio. Ho partecipato quindi a quasi tutti i raduni, le manifestazioni e i cortei organizzati in favore del popolo palestinese, e tramite la mia macchina fotografica ho provato a raccoglierne e fermarne un pezzetto minuscolo da poter mostrare oggi e in futuro, come fosse una testimonianza di qualcosa di bello nato da una grande disgrazia. Perché se un evento così tragico non è possibile fermarlo in maniera diretta almeno noi come esseri umani siamo liberi e obbligati allo stesso tempo di cercare di creare qualcosa di positivo, per contrapporre a qualcosa di disumano qualcosa che invece è pieno di vita. Penso per esempio ai tanti ispirati e profondi discorsi che durante queste manifestazioni ho sentito fare da persone che credono davvero nella pace, ai gesti, agli abbracci, o alla semplice ma fondamentale presenza di persone di ogni origine sociale, credo e provenienza. Tutti insieme, uniti e contenti di esserlo. E io, nel mio piccolo, come artista, ritengo fondamentale provare a ‘salvare’ questi momenti perchè è lì che vive e risiede ancora l’umanità, anche quando qualcosa di atroce succede a migliaia di chilometri di distanza da noi.
Quali sono i tratti in comune tra musica e foto?
Sono due discipline che hanno moltissimo in comune a livello espressivo, usano quasi lo stesso linguaggio fatto di forme, distanze e ritmo ma allo stesso tempo credo che siano abbastanza diverse da poter essere approfondite contemporaneamente. Per esempio mi capita spesso che dopo una giornata dedicata alla scrittura, suonare o registrare non vedo l’ora di uscire a fare qualche scatto. Fotografare mi aiuta a staccare dalla musica e viceversa, per resettare e ripartire con mente fresca. Sono due arti molto complementari anche se il vero collante per me è sempre e solo uno, la poesia, che può esserci in una foto così come in una canzone. Uno dei miei idoli contemporanei è Ray Barbee, fotografo, musicista e skater professionista californiano, che riesce ad eccellere in tutte queste discipline con disinvoltura. è per me un vero attestato di libertà in quanto specialmente oggi si tende ad etichettare le persone per quello che fanno e le persone stesse si sentono spesso obbligate a rimanere nella loro casella senza uscirne mai. Però non è raro che ognuno di noi abbia diverse passioni e in quel caso è giusto voler approfondire tutte senza pregiudizi. Per me la musica e la fotografia sono due passioni che hanno molto in comune anche semplicemente perchè mi aiutano nella ricerca di me stesso, o almeno oggi è così.
Che significato ha il tuo brano?
Zohra è un brano che ho scritto dopo aver letto la storia della prima orchestra femminile afghana, che si chiamava appunto Zohra e che ha dovuto interrompere il loro importante percorso di emancipazione per colpa della salita al potere del regime talebano. Da quel momento sono state forzatamente separate, hanno distrutto i loro strumenti e per salvarsi hanno dovuto scappare in Europa dove divise hanno trovato accoglienza in diversi stati. Nella canzone provo a tendere la mano a ognuna di queste ragazze cercando di immedesimarmi in una di loro, immaginandomi cosa pensava e cosa sperava, provando a mandare un messaggio di condivisione, come a dire: ho saputo e vi sono vicino, non siete invisibili. Mi piacerebbe molto farle arrivare la canzone, ci proverò, e la bella notizia di pochi mesi fa è che alcune di loro sono riuscite a ricongiungersi per un concerto, questo è semplicemente stupendo.
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L’articolo Le manifestazioni pro Palestina di Palermo viste dagli occhi e dalla chitarra di Buzzy Lao di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2024-07-08 12:19:00