Leonardo, Raffaello, Donatello e Michelangelo. Da quarant’anni, i quattro fratelli mutanti sono un’icona della cultura pop: nati dalla fantasia di Kevin Eastman e Peter Laird nel 1984 e diventati protagonisti di fumetti, cartoni, film e videogiochi, il loro stile, i colori delle fasce e persino i tratti fisici sono cambiati nel tempo, ma un elemento è rimasto invariato, le armi. Leonardo brandisce due spade, Raffaello combatte con i sai, Donatello maneggia il bastone bō e Michelangelo si affida ai suoi nunchaku. Strumenti tanto distintivi da essere diventati sinonimo dei personaggi stessi, quasi quanto la pizza o la voce roca di Splinter. Ma oltre alla curiosità sulla scelta dei loro rispettivi nomi “rinascimentali”, vi siete mai chiesti perché usino proprio queste armi?
Secondo una teoria curiosa e affascinante, però, le armi non sarebbero state scelte per esaltare le loro personalità, ma per contraddirle. L’idea è che il Maestro Splinter, nel formare i suoi figli, abbia voluto dare a ciascuno un’arma capace di metterlo alla prova e spingerlo a migliorare, insegnandogli l’autocontrollo e la consapevolezza. Michelangelo, il più spensierato e immaturo del gruppo, viene descritto da sempre come “un party dude”, un tipo allegro che preferisce giocare e scherzare piuttosto che allenarsi. Eppure, è proprio lui a impugnare l’arma più difficile da controllare: i nunchaku. Basta un movimento sbagliato per colpirsi da solo, e per padroneggiarli servono concentrazione e disciplina, qualità che Mikey deve imparare con fatica.
Raffaello, invece, è l’esatto opposto: impulsivo, rabbioso, sempre pronto a “tirare il primo pugno”. Ci si aspetterebbe che usi un’arma potente e offensiva, ma i sai, nella tradizione marziale, servono soprattutto per difendersi o disarmare l’avversario. Splinter gli avrebbe quindi affidato un’arma che lo costringe a frenare l’aggressività e a riflettere prima di agire. Donatello, il genio della tecnologia, è il più razionale dei quattro. Passa il tempo a inventare strumenti sofisticati, ma combatte con il bō, un semplice bastone di legno. Un contrasto che lo riporta alle basi, ricordandogli che non sempre l’ingegno o la complessità sono la soluzione migliore: a volte, la semplicità è l’arma più efficace.
Infine, Leonardo, il leader calmo e disciplinato, incarna l’onore e il senso di responsabilità. Tuttavia, le sue spade — le katane — sono le armi più pericolose e letali del gruppo. Ogni colpo può essere decisivo, e proprio per questo Leo deve imparare a essere risoluto, ma anche a usare la forza solo quando è davvero necessario. In lui, l’arma diventa simbolo di equilibrio: la consapevolezza del potere e il dovere di controllarlo.
Certo, non tutte le versioni delle Tartarughe Ninja seguono questa logica: alcune storie mostrano i fratelli scegliere le proprie armi da soli o trovarle per caso. Ma la bellezza di questa teoria sta nella sua coerenza simbolica. Del resto, l’intera idea delle Tartarughe Ninja nasce da un contrasto: animali lenti che praticano un’arte marziale rapidissima. Che Splinter abbia davvero scelto le armi per opporsi ai difetti dei suoi allievi o meno, resta il fatto che dietro quei pezzi di metallo e legno si nasconde una lezione di equilibrio, crescita e autodisciplina. E forse è proprio questo che rende le Tartarughe Ninja, dopo quarant’anni, ancora così straordinariamente umane.
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