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Uscito 63 anni fa, questo kolossal ha ispirato tutti i grandi registi successivi. Ma il pubblico lha dimenticato

Uscito 63 anni fa, questo kolossal ha ispirato tutti i grandi registi successivi. Ma il pubblico l'ha dimenticato

Agli albori degli anni ’60 il cinema americano era ancora aggrappato alle regole della vecchia Hollywood, con protagonisti ben definiti, dialoghi centrali, e le grandi star al centro della scena. Il widescreen esisteva già, certo, ma veniva spesso trattato come un semplice ornamento. Poi, il 16 dicembre 1962, arrivò nelle sale americane un film che cambiò tutto, riscrivendo il modo stesso di concepire l’epica cinematografica.

Lawrence d’Arabia, diretto da David Lean e fotografato da Freddie Young in Super Panavision 70, si affermò fin da subito come un’opera dalla portata mastodontica, dotata di un’epica e di una forza immaginifica destinata a influenzare tutti i più grandi registi affermatisi nei decenni immediatamente successivi.

Tra i fattori che hanno permesso al film di rimanere scolpito nel cuore e nella fantasia di chi viveva e respirava cinema negli anni ’60, vi è sicuramente l’intuizione di rendere il paesaggio un vero e proprio personaggio. Il deserto non era più solo uno sfondo esotico, ma una forza capace di mettere alla prova e infine definire l’animo dei protagonisti. Spazi sterminati, luce naturale, profondità di campo e uso radicale dello spazio negativo diedero vita a un’estetica che avrebbe fatto scuola per la generazione che si affacciava al grande schermo per la prima volta.

Al centro del racconto, vi è la figura del tenente colonnelloThomas Edward Lawrence interpretato da un magnetico Peter O’Toole, qui rappresentato – in perfetta discontinuità – non come un eroe classico, ma come una figura tormentata, ambigua, attraversata da contraddizioni morali. In questa occasione Lean ruppe con la tradizionale dicotomia bene/male, proponendo un protagonista fragile e spesso smarrito, piccolo di fronte alla complessità del mondo che lo circonda. Un’idea che se oggi può in qualche modo suonare familiare, allora suonava decisamente rivoluzionaria.

Lawrence d’Arabia fu un trionfo immediato, sia commerciale che critico, diventando il nuovo metro di paragone per tutti i kolossal successivi. Da Stanley Kubrick a Martin Scorsese, da Ridley Scott a Steven Spielberg, tutti hanno dichiarato il proprio debito e il proprio amore nei confronti dell’opera di Lean. Non a caso, George Lucas ha più volte ammesso di essersi ispirato alle sequenze nel deserto per Star Wars, mentre Scott ha fatto dell’ambiente un’estensione psicologica dei personaggi in film come Il gladiatore e Le crociate.

Tra tutti Steven Spielberg è stato quello che ha riconosciuto il maggior debito nei confronti del film e del profondo impatto emotivo che questo esercitò su di lui. Da bambino andò infatti a vederlo al cinema ben quattro volte in quattro settimane, definendolo nientemeno che un “miracolo” che lo convinse definitivamente a diventare regista.

Determinante fu anche il montaggio di Anne V. Coates, premiato con l’Oscar. Il celebre match cut del fiammifero che si spegne e diventa l’alba nel deserto è ancora oggi uno dei più studiati della storia del cinema; una vera e propria lezione di sintesi visiva capace di condensare tempo, spazio e significato in un solo gesto. Da lì in avanti, nulla fu più lo stesso, con registi del calibro di Stanley Kubrick e Brian De Palma che seguirono per seguire la strada che ormai era stata tracciata.

L’eredità di Lawrence d’Arabia non è solo tecnica o visiva, ma bensì anche tematica. Il ritratto di un uomo che costruisce il proprio mito mentre ne viene lentamente divorato ha influenzato cineasti come Sam Peckinpah, Oliver Stone e Scorsese, aprendo la strada a un cinema più complesso, morale e ambiguo. Ancora oggi, basta guardare ai Dune di Denis Villeneuve per ritrovare l’eco di quell’immaginario fatto di deserti sconfinati e figure messianiche imperfette chiamate a reggere il peso della fatalità.

Eppure, paradossalmente, Lawrence d’Arabia è oggi meno presente nell’immaginario del grande pubblico rispetto ad altri classici. Un kolossal monumentale che ha insegnato a tutti come si racconta il cinema su larga scala, ma che rischia di essere ricordato più dai registi che dagli spettatori.

Cosa ne pensate? Fatecelo sapere nei commenti!

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Foto: MovieStillsDB

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