Uragano Katrina: corsa contro il tempo, le voci che non possono più essere ignorate
Per i vent’anni dall’uragano Katrina – una delle catastrofi naturali più devastanti nella storia degli Stati Uniti – Disney+ presenta “Uragano Katrina: corsa contro il tempo”, la docu-serie di cinque puntate dal 28 luglio in streaming, qui la nostra intervista. La regista Tracy A. Curry e i sopravvissuti Lucrece Phillips e Shelton Alexander hanno condiviso le loro esperienze dirette, raccontando il dolore, la paura e la forza che li hanno accompagnati durante e dopo quella terribile notte. Le loro parole offrono uno sguardo potente e toccante su un evento che ha segnato un’intera società, ancora oggi permeata dalle sue cicatrici.
Riscoprire l’Umanità nel Disastro – Parla la regista Tracy A. Curry
Per Tracy Curry, mettere in luce le storie umane di Katrina significa soprattutto ripristinare la dignità di chi è stato degradato e deumanizzato. “La narrazione mediatica iniziale metteva in discussione la dignità delle persone coinvolte, spesso riducendole a stereotipi e a categorie di poveri e razzializzati,” spiega. “Quello che volevamo fare con questa serie era invertire questa tendenza, mostrare come la vulnerabilità si trasformasse in forza quando le persone potevano raccontare la propria verità.”
Un punto chiave del racconto, sottolinea Curry, è la frase pronunciata dal generale Honoré: “When you’re poor, you are not free in America.” Una frase che racchiude un concetto centrale: le disuguaglianze strutturali e le ingiustizie razziali si sono manifestate chiaramente durante e dopo l’uragano. Curry aggiunge: “Nessuna delle problematiche che vediamo – come razzismo, classismo, rappresentazione mediatica e sorveglianza – è stata creata dall’uragano, ma è stata portata alla luce in modo evidente da esso. La tempesta ha solo rivelato ciò che già esisteva nella società.”
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Il documentario si propone di mettere in prospettiva questi eventi storici, collegando le sfide di allora con quelle di oggi, ma sempre attraverso le storie individuali. “Volevamo restituire alle persone la loro storia, la loro umanità, e far ascoltare le voci di chi ha vissuto in prima persona l’orrore e la resilienza.” Curry sottolinea come l’obiettivo fosse anche quello di mostrare come tutto ciò che accadde – le disuguaglianze sociali, il razzismo, le mancanze di intervento – non siano nate con Katrina, ma siano stati aspetti già presenti nella società, che la catastrofe ha solo evidenziato e accentuato. “Volevamo che il pubblico comprendesse che le sofferenze e le condizioni di quelle persone erano già delineate prima dell’uragano,” afferma. “Katrina ha agito come un grande specchio, riflettendo le ingiustizie strutturali che ancora oggi dobbiamo affrontare.”
Nessun Posto Sicuro – Il racconto di Lucrece Phillips
Lucrece Phillips ricorda con dolore quei giorni terribili: “Ho tentato di entrare nel Superdome, ma non mi hanno lasciato passare con il cane. Nonostante la mia disperazione, mi hanno impedito di portare con me anche mia figlia e una cuginetta di due anni. Ricordo la vergogna e la frustrazione che provai nel vedere che ci trattavano come sospetti, non come persone bisognose di aiuto.”Per lei, il ritorno a casa è stato ancora più duro: “Quando sono tornata, non c’era più niente, tutto distrutto. Dovevo ricostruire da zero, e lo stesso valeva per la mia fiducia nella comunità. Per molto tempo, mi sono sentita isolata, come se tutta la nostra unità fosse stata smantellata.”
Lucrece sottolinea inoltre come il senso di comunità fosse stato messo a dura prova: “Era difficile anche fidarsi delle persone che avevi vicino, perché tutti erano in uno stato di emergenza e di paura costante. La solidarietà sembrava svanita, sostituita dalla diffidenza e dalla lotta per la sopravvivenza.”

Il Superdome: Da Simbolo di speranza a Incubo – La testimonianza di Shelton Alexander
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Shelton Alexander, che ricordava quel luogo come un simbolo di gioia e di festa, rivive ora il trauma di aver visto trasformare il Superdome in un luogo di angoscia e pericolo. “Per noi era il cuore pulsante di New Orleans, un posto di vittoria e di celebrazione. Ma quando siamo arrivati lì per cercare rifugio, tutto si è trasformato in un incubo,” racconta con emozione. “Era difficile credere a quello che stavo vivendo: la paura, il caos, la confusione, tutto sembrava un brutto sogno.”
L’esperienza in quei giorni neri è impressa nella memoria di Shelton: “Non riuscivo a smettere di pensare a tutto ciò che avevamo passato, alle persone accanto a me, alle persone che purtroppo non sono più tornate.” Ricorda anche i cambiamenti nella composizione del gruppo: “Inizialmente, molte persone erano nere, perché la maggior parte di noi era rifugiata dal quartiere di New Orleans. Ma col passare dei giorni, man mano che si iniziava a salvare più persone, il gruppo diventava più vario, c’erano anche persone di altre etnie. Non era più solo una questione di razza; era una questione di sopravvivenza.”
Shelton ricorda le voci che circolavano tra i superstiti, molte delle quali erano false o esagerate, alimentando paure e tensioni. “Le notizie false si diffondevano in fretta. A volte, un falso allarme ci faceva più attenti, ci spingeva a prenderci cura dei nostri figli e dei nostri cari in modo più vigile. Certo, ci faceva anche pensare che stessero cercando di lasciarci morire lì dentro.”
Il ricordo del cibo e dell’acqua razionati lo segna ancora: “Quando non ci hanno dato più acqua e cibo, abbiamo davvero pensato che ci volessero uccidere, che stavano cercando di farci morire dentro, come un modo per lasciarci a morire di fame e sete.” Shelton descrive la sensazione di impotenza e angoscia che ha provato, aggiungendo: “Non riesco a dimenticare quei momenti; sono sempre nella mia mente. Ho scritto e parlato di tutto quello che abbiamo passato, perché voglio che le persone capiscano cosa significa davvero vivere quelle condizioni.”
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Riflettendo sulla solidarietà nascosta tra i sopravvissuti, Shelton aggiunge: “C’era anche tanta umanità, anche tra le difficoltà. Alla fine, molte persone sono state salvate e portate fuori dal Superdome, ma il ricordo di quello che abbiamo vissuto resta indelebile.” Più volte, lui e Lucrece sottolineano quanto la loro esperienza sia una testimonianza di dignità e di resilienza, e quanto sia importante condividere queste storie per far sì che non siano più ignorate.
L’emozione di raccontare e il valore delle testimonianze – La prospettiva di Tracy A. Curry
Quando Tracy Curry ha iniziato il progetto, ha confessato di aver provato grande emozione nel conoscere le storie di Lucrece e Shelton. “Ascoltare direttamente da loro cosa abbiano vissuto è stato un privilegio e una responsabilità enorme,” spiega la regista. “Volevamo che le loro storie arrivassero al cuore del pubblico, senza filtri o distorsioni.” Curry sottolinea quanto sia stato difficile e allo stesso tempo fondamentale catturare l’autenticità delle loro emozioni, il dolore profondo e la speranza che ancora li sostiene. “Il nostro obiettivo era restituire loro la dignità e mostrare come la loro forza sia un esempio di resilienza in mezzo alla devastazione,” afferma.
Per Curry, la sfida più grande è stata rispettare le loro storie e il loro dolore, senza banalizzarne la portata. “Lavorare con persone che hanno subito traumi così profondi richiede molta empatia e rispetto,” dice. “Vogliamo che il mondo veda le vittime di Katrina come persone, non semplici statistiche o stereotipi.” La regista conclude ricordando la gratitudine di quelli come Lucrece e Shelton, “che hanno scelto di condividere la loro verità affinché altri possano apprendere e comprendere meglio quello che è stato e quello che ancora dobbiamo affrontare come società.”
Un’eredità di memoria e speranza
L’intervista si chiude con un senso di speranza e di impegno civile. “Sono grata a Tracy, a ogni persona che ha condiviso la propria storia, perché abbiamo capito che la memoria di Katrina non è solo un ricordo del passato,” commenta Lucrece Phillips. “È anche un monito, un richiamo a non dimenticare mai le ingiustizie e a lavorare per un futuro più giusto e inclusivo.” Shelton Alexander, con un sorriso triste ma determinato, aggiunge: “Voglio che tutti capiscano che, anche dopo tanta sofferenza, la nostra comunità e il nostro spirito sono ancora vivi. Vogliamo solo essere ascoltati e rispettati.”
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Le voci di Lucrece, Shelton e di tanti altri sopravvissuti sono diventate un messaggio di speranza, una testimonianza di resilienza che attraversa le generazioni e le barriere culturali. La loro forza di volontà, la capacità di ricostruire la propria vita e di mantenere viva la memoria di ciò che è successo sono un monito per tutti noi: non dobbiamo mai smettere di ascoltare, di capire e di agire.
Con “Katrina”, National Geographic non ha soltanto documentato un evento storico, ma ha dato voce a chi spesso è stato “silenziato”, portando alla luce le storie di chi ha vissuto il dramma in prima persona. È un invito concreto a non dimenticare e a lavorare, insieme, affinché ogni vita possa essere rispettata e ogni ingiustizia possa essere affrontata con coraggio e umanità.
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