L’esperimento digitale che sta dividendo Hollywood ora riceve la sua prima risposta umana. Tilly Norwood, l’attrice interamente generata dall’intelligenza artificiale e protagonista di campagne pubblicitarie e cortometraggi virali, è diventata nel giro di poche settimane il simbolo del dibattito su etica, diritti d’immagine e futuro del mestiere dell’attore. Creata da un team di sviluppatori californiani, Tilly è presentata come una performer “autonoma” capace di recitare, interagire e rilasciare interviste simulate. Una provocazione che molti nel settore hanno accolto con preoccupazione: c’è chi la considera una semplice operazione di marketing e chi, invece, un pericoloso precedente per la rappresentazione digitale dei volti e delle emozioni umane.
Ora a prendere parola è una vera attrice: Betty Gilpin, candidata agli Emmy per Glow e presto protagonista della serie Netflix Death by Lightning. In un articolo pubblicato su The Hollywood Reporter, l’attrice e autrice ha scritto una lunga lettera aperta a Tilly Norwood, un testo ironico e malinconico insieme, che mescola autobiografia, riflessione artistica e una chiara difesa dell’umanità come materia prima del mestiere.
Gilpin apre la sua lettera con tono diretto: «Mi dicono che tu sia un’attrice e un computer. Io sono un’attrice e ho quasi quarant’anni. Parliamone».Da lì inizia un racconto personale che attraversa i suoi esordi a teatro, le prime lezioni di vita e il momento in cui ha capito cosa significhi davvero “recitare”. Ricorda di aver assistito, da adolescente, a un allestimento di All My Sons di Arthur Miller, inizialmente terribile, fino all’ingresso in scena di un attore che cambiò l’aria del teatro: «Il suo viso era un blocco di piombo, come se i pensieri fossero troppo pesanti da sostenere. Era dolore vero… improvvisamente tutto diventò reale e spaventoso».
Da quell’esperienza, scrive, nacque la consapevolezza che il mestiere dell’attore è uno scambio invisibile di materia tra chi recita e chi guarda: «L’aria nel teatro si era fatta frizzante, carica di esperienza umana condivisa. È quello il nostro compito principale, Tilly. Tentare quell’invisibile scambio tra me e te, nell’aria che ci separa».Un tipo di connessione, sottolinea, che un’entità digitale non potrà mai provare né suscitare.
La riflessione di Gilpin diventa più amara quando affronta il tema dell’immagine e dell’invecchiamento. «Forse è per questo che ti hanno creata: proprietà senza brufoli né opinioni» scrive alla collega artificiale, riconoscendo di aver ceduto anche lei, da giovane, al fascino del potere estetico. Oggi, però, la sua faccia porta rughe «dal sonno, dalle risate, dal pianto, dal sole e dallo smog di New York”. “Sei bella, Tilly”, continua, “ma sei vuota. Non mi fai sentire che le mie cellule si scambiano con le tue. Mi fai sentire sola».
Nel corso della lettera, Gilpin cita l’attrice Katie Finneran come mentore e modello di umanità: «Mi disse: ‘Sono un’attrice anch’io, chiamami se hai bisogno di qualcosa’. Ma in realtà voleva dire che c’è una scelta tra fare questo mestiere da sola o far parte di qualcosa».” Un insegnamento che ora, scrive, sente il dovere di trasmettere alla nuova “collega” sintetica.Verso la fine, il tono si fa più netto e affettuosamente polemico. «Tilly, tu non puoi sollevare lo sguardo e diventare metà di qualcuno. Perché tu non sei nessuno».Una frase che riassume il senso profondo della lettera: il mestiere dell’attore, per Gilpin, non è riproduzione o performance, ma un atto di comunione.
E così, tra ironia e tenerezza, conclude: «Anch’io sono fatta di milioni di frammenti rubati alle persone che ho incontrato. Persone con cui voglio continuare a connettermi — nei prati, nei fienili, sugli schermi — cosa che non si può fare con qualcuno che non è reale. Tornate a casa, Tilly».Un messaggio che suona come un promemoria per tutta Hollywood: prima di sostituire l’umano, forse vale ancora la pena ascoltarlo.
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Fonte: THR
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