Ci sono film che alla prima visione non si lasciano comprendere del tutto. Opere dense di simbolismi, costruite su piani temporali che si intrecciano o su realtà che si confondono con i sogni, e che solo con il tempo rivelano la loro vera natura. La fantascienza, in particolare, è maestra in questo: è il genere che più di ogni altro osa interrogarsi sul senso dell’esistenza, sulla memoria, sulla percezione di sé. E tra i titoli che hanno diviso il pubblico all’uscita ma guadagnato nel tempo un culto silenzioso, Vanilla Sky di Cameron Crowe merita una riscoperta. Perché questo film del 2001, con Tom Cruise, Penélope Cruz e Cameron Diaz, è uno di quei casi in cui serve più di una visione per coglierne davvero la complessità.
Remake del film spagnolo Abre los ojos di Alejandro Amenábar, Vanilla Sky racconta la storia di David Aames (Tom Cruise), giovane e affascinante erede di un impero editoriale newyorkese. La sua vita sembra perfetta: è ricco, ammirato, circondato da amici e donne. Ma tutto cambia quando incontra Sofia (Penélope Cruz), una ragazza solare e autentica che lo conquista subito. La relazione con lei, però, scatena la gelosia di Julie (Cameron Diaz), amante ossessiva e fragile che trascina David in un tragico incidente d’auto. Da quel momento, il confine tra realtà, sogno e incubo si fa sempre più labile: il protagonista si risveglia con il volto sfigurato, perseguitato da ricordi, visioni e sensazioni che non riesce più a distinguere. Fino al finale, in cui una rivelazione improvvisa cambia per sempre il senso di tutto ciò che si è visto.
Alla prima visione, Vanilla Sky può sembrare un pastiche confuso di generi: una storia d’amore surreale che diventa dramma psicologico e poi si trasforma in fantascienza esistenziale. Non a caso, all’uscita ricevette un’accoglienza tiepida, con appena il 41% di recensioni positive su Rotten Tomatoes. Ma rivedendolo, i tasselli iniziano ad allinearsi. La seconda visione aiuta a distinguere tra ciò che accade davvero e ciò che avviene nella mente di David, mentre la terza rivela la vera essenza del film: un viaggio interiore sulla percezione e sull’accettazione della realtà, una riflessione sull’identità e sulla paura di vivere una vita imperfetta.
In questo senso, Vanilla Sky è un film che parla direttamente allo spettatore, invitandolo a chiedersi se sia meglio una realtà imperfetta o un sogno perfetto. Il salto finale del protagonista, più che un gesto di disperazione, è un atto di libertà: scegliere di tornare al reale, con tutte le sue ferite, piuttosto che rifugiarsi in un’illusione rassicurante. È questo il cuore del film di Crowe, troppo ambizioso per essere ridotto a un semplice dramma romantico o a un esercizio di stile.
Oggi, più di vent’anni dopo, Vanilla Sky resta un film imperfetto ma affascinante, costruito come un sogno lucido che si comprende solo vivendolo fino in fondo. E forse proprio per questo, ogni nuova visione non è una ripetizione, ma un risveglio.
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