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Non potete dirvi amanti del cinema italiano senza aver visto questo capolavoro nascosto

Non potete dirvi amanti del cinema italiano senza aver visto questo capolavoro nascosto

Ci sono film che, pur avendo tutto per imporsi nell’immaginario collettivo, restano ai margini, come gemme che pochi conoscono davvero. Una pura formalità, diretto da Giuseppe Tornatore nel 1994, appartiene esattamente a questa categoria: un’opera magnetica, complessa, presentata in concorso a Cannes ma accolta con una freddezza che ne ha frenato l’impatto immediato. Solo negli anni è emerso come uno dei lavori più affascinanti del regista, un thriller atipico capace di insinuarsi lentamente nella memoria dello spettatore fino a diventare un piccolo culto del cinema italiano.

La storia si apre in un bosco sotto un temporale, con un uomo in fuga fermato dalla polizia e condotto in una stazione isolata. L’uomo, infangato e in evidente stato confusionale, sostiene di essere Onoff, celebre scrittore in crisi creativa. Il commissario che lo interroga, interpretato da Roman Polanski, non si lascia impressionare dalla fama del suo interlocutore e lo sottopone a una lunga notte di domande, ricostruzioni e contraddizioni. In zona è avvenuto un delitto e la verifica dell’identità dello scrittore, annunciata come una prassi banale, si trasforma in un labirinto mentale in cui ogni dettaglio contribuisce a ridefinire la realtà. Il loro confronto, serrato e quasi teatrale, è l’asse portante del film: due uomini chiusi in pochi ambienti logori che diventano lo specchio di una coscienza a pezzi, dove memoria, colpa e invenzione si confondono.

Tornatore costruisce questo spazio come un kammerspiel infangato, claustrofobico e allucinato. La colonna sonora di Ennio Morricone accompagna i passaggi emotivi con una delicatezza quasi impercettibile, ma determinante. Tutto contribuisce a un limbo visivo dove l’indagine diventa un’indagine sull’identità, e lo scontro tra Onoff e il commissario si fa dialogo tra autore e giudice interiore, tra verità e racconto, tra ciò che resta di sé quando si spengono le luci della celebrità. Gerard Depardieu in questo film offre una delle sue interpretazioni più fisiche e vulnerabili, portando in scena un uomo che procede per lampi, vuoti e improvvise confessioni; Polanski, in una delle sue rare prove attoriali, oppone un commissario lucido, implacabile, che scava nello scrittore fino a costringerlo ad affrontare la parte di sé che ha sempre evitato. La forza del film sta proprio in questo duello, sostenuto da dialoghi intensi e scritti con precisione millimetrica, capaci di spostare continuamente la percezione dello spettatore.

Rivalutato nel tempo dalla critica e oggi considerato uno dei titoli più sorprendenti della filmografia di Tornatore, Una pura formalitàrimane un esempio raro di thriller metafisico italiano, un’opera che sceglie di non affidarsi a trucchi o scorciatoie narrative ma alla potenza della parola, dell’atmosfera e dell’ambiguità. Un film da riscoprire, perché dimostra come il nostro cinema sappia ancora parlare alla mente e alla memoria con una forza che non invecchia.

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