Arriva in sala il 27 novembre Orfeo, il nuovo film di Virgilio Villoresi che, dopo il passaggio Fuori Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, porta finalmente al pubblico la sua visione più ambiziosa: una rilettura del mito di Orfeo ed Euridice che unisce pellicola 16mm, stop motion, scenografie artigianali e illusioni ottiche, trasformando il racconto classico in un viaggio sensoriale tra sogno, memoria e perdita. Adattamento cinematografico di Poema a fumetti di Dino Buzzati, considerato la prima graphic novel italiana, Orfeo è distribuito da DOUBLE LINE ed è stato inoltre designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI.
Al centro della storia, che viene qui trasposta a Milano, c’è Orfeo, interpretato da Luca Vergoni: un giovane pianista che, dopo la scomparsa dell’amata Eura (Giulia Maenza), si avventura in un aldilà visionario popolato da creature fantastiche, figure simboliche e paesaggi che sembrano usciti da una fiaba oscura. Dopo l’intenso esordio veneziano con La scuola cattolica nei panni di Angelo Izzo, per cui era stato candidato ai Globi d’Oro come Giovane Promessa, il giovane attore torna sul grande schermo con un ruolo diametralmente opposto, fatto di fragilità, immaginazione e un legame profondo con la musica, che nel film diventa a tutti gli effetti un secondo protagonista.
Frutto di un lungo percorso produttivo e dichiaratamente artigianale, Orfeo è un’opera che cerca il dialogo con un pubblico disposto ad abbandonarsi a un’esperienza più emotiva che narrativa, dove la logica del sogno prende il posto del realismo e dove ogni gesto dell’attore è chiamato a convivere con mondi costruiti fotogramma per fotogramma.
Ne abbiamo parlato con Luca Vergoni, che racconta la sfida di interpretare un personaggio sospeso tra amore e perdita, il lavoro con Villoresi, la centralità della musica e il modo in cui Orfeo lo ha interrogato – come attore e come persona – sul senso stesso dell’arte e del ricordo.

Dalla presentazione al festival di Venezia Orfeo ha già suscitato molta curiosità. Puoi raccontarci qualcosa sul tuo personaggio?
«Orfeo è un artista, un pianista che vive con estrema passione, e che la dimostra nell’estremo amore che prova per Eura. Purtroppo dopo la sua perdita dovrà affrontare fragilità e paure all’interno di un viaggio nel suo personalissimo inferno, tutto per ritrovare l’amata, ma forse per non dimenticarla mai».
Sei già stato a Venezia con La scuola cattolica. Cosa è cambiato da allora?
«Sicuramente sono cresciuto. L’emozione di tornare al festival per la seconda volta è stata enorme, ma soprattutto è stata enorme la felicità di vedere lì un progetto su cui abbiamo lavorato così tanto, per il quale Virgilio ha dato tutto; un piccolo miracolo che ha provocato in tutta la squadra una gioia immensa».
Orfeo è un film che parla di amore, perdita e rinascita. C’è qualcosa della tua vita personale che ti ha aiutato a interpretare questi sentimenti?
«Sicuramente come attore sono partito da me e da quello che provo ogni giorno, però poi ho provato ad alimentare il mio processo creativo con tutte le riletture del mito, analizzando bene le fasi del lutto e cercando il più possibile di avvicinarmi a qualcosa che potesse essere più universale e non solo mio».

Il film ha un forte legame con la musica. Che rapporto hai tu con la musica, dentro e fuori dal set?
«La musica è stata la prima arte a cui mi sono avvicinato, come autodidatta mi sono avvicinato al pianoforte e ho fatto parte di diversi gruppi, sempre con mio fratello accanto con cui ho condiviso in modo particolare questa passione. Sul set la musica era un altro personaggio, sentivo a ripetizione la colonna sonora di Angelo Trabace e quando potevo lo osservavo suonare, parlavamo delle sensazioni che aveva provato durante la composizione e cercavamo, insieme anche a Virgilio, di trovare l’emozione di Orfeo tramite le note e il corpo».
Qual è stata la scena più difficile da girare, emotivamente o tecnicamente?
«Per me questa è una domanda particolare perché ho come la sensazione che nessuna scena sia stata facile, la modalità di lavoro di Virgilio è stata una sfida continua per me, muovermi nello stesso piccolo spazio ma che ogni volta assumeva la dimensione di un mondo a parte. Sicuramente però devo citare le scene in tecnica mista; di solito un attore è in relazione con qualcuno di presente, che sia anche solamente il pubblico durante un monologo a teatro. Osservare il vuoto, cercando di calibrare lo sguardo e il fisico, mi ha costretto a fare uno sforzo in più di immaginazione che non mi aspettavo potesse essere così difficile ma che in fondo sento mi ha fatto tornare per un po’ bambino».
Il mito di Orfeo parla del potere dell’arte di superare la morte. Ti riconosci in questa visione del ruolo dell’artista?
«Forse sì, sto ancora cercando la mia strada sotto questo punto di vista, ma credo che l’arte possa e debba avere la possibilità di parlare a tutti, nonostante il tempo che passa, e se è immune al tempo allora lo è anche alla morte».

Cosa ti ha insegnato Orfeo come attore e come persona?
«Mi ha fatto interrogare molto su che tipo di attore voglio essere, che artista sono o se mai lo sarò, ma non ho ancora risposte, solo domande. Sicuramente devo ringraziare Virgilio che mi ha insegnato il coraggio di combattere per la propria idea, di prendersi il proprio tempo senza badare alla velocità imposta dall’esterno, che si è artisti se si vuole dire qualcosa di proprio, se si fa qualcosa che piaccia a se stessi prima che agli altri».
Cosa speri che il pubblico porti con sé dopo aver visto Orfeo?
«La meraviglia, la possibilità di sognare in un mondo che sembra andare sempre di più in una direzione orribile».
Hai già in mente i tuoi prossimi progetti dopo questa esperienza?
«Tornerò a teatro con degli amici per uno spettacolo dal titolo “I ragazzi della strada” e poi sul set di Samuele Rossi per il suo film “Se venisse anche l’inferno” di cui sono già iniziate le riprese. Non vedo l’ora. E nel frattempo magari scrivo qualcosa anche io, chissà».
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