Nel mosaico sterminato dei personaggi Marvel c’è un’assenza che, più di altre, sembra fatta apposta per cambiare le regole del gioco: Molecule Man, alias Owen Reece. Nei fumetti non è mai stato un volto da copertina quanto Thanos o Magneto, eppure la sua funzione narrativa è spesso quella dell’“interruttore cosmico”: accenderlo o spegnerlo significa alzare o abbassare la posta dell’intero multiverso. La sua premessa è disarmante nella semplicità: controlla le molecole. In termini drammatici, vuol dire che può deformare, ricombinare o annullare la materia (e, con il tempo, persino i concetti che la governano). È il genere di potere che, se non dosato con cura, rischia di svuotare di tensione qualsiasi storia.
Nel mosaico sterminato dei personaggi Marvel c’è un’assenza che, più di altre, sembra fatta apposta per cambiare le regole del gioco: Molecule Man, alias Owen Reece. Nei fumetti non è mai stato un volto da copertina quanto Thanos o Magneto, eppure la sua funzione narrativa è spesso quella dell’“interruttore cosmico”: accenderlo o spegnerlo significa alzare o abbassare la posta dell’intero multiverso. La sua premessa è disarmante nella semplicità: controlla le molecole. In termini drammatici, vuol dire che può deformare, ricombinare o annullare la materia (e, con il tempo, persino i concetti che la governano). È il genere di potere che, se non dosato con cura, rischia di svuotare di tensione qualsiasi storia.
Nel mosaico sterminato dei personaggi Marvel c’è un’assenza che, più di altre, sembra fatta apposta per cambiare le regole del gioco: Molecule Man, alias Owen Reece. Nei fumetti non è mai stato un volto da copertina quanto Thanos o Magneto, eppure la sua funzione narrativa è spesso quella dell’“interruttore cosmico”: accenderlo o spegnerlo significa alzare o abbassare la posta dell’intero multiverso. La sua premessa è disarmante nella semplicità: controlla le molecole. In termini drammatici, vuol dire che può deformare, ricombinare o annullare la materia (e, con il tempo, persino i concetti che la governano). È il genere di potere che, se non dosato con cura, rischia di svuotare di tensione qualsiasi storia.
Proprio qui sta il paradosso. Un personaggio capace di risolvere qualunque conflitto “a colpi di molecole” è difficilissimo da gestire sul lungo periodo. Funziona quando la sua forza resta un’idea più che un effetto speciale, quando la trama non gli chiede di “sistemare” i problemi, ma di incarnare un conflitto interiore: il terrore di sé, il senso di responsabilità, la colpa di un dono che fa più paura di qualsiasi nemico. Nei fumetti migliori che lo riguardano, l’epica cosmica si regge proprio su questa ambivalenza: l’uomo qualunque davanti a un potere che non ha chiesto e che non sa abitare.
È anche il motivo per cui, nel MCU, la sua assenza è tanto evidente quanto comprensibile. L’universo cinematografico ha spinto il pedale del multiverso, ha moltiplicato varianti e fratture tra realtà; introdurre Owen Reece significherebbe dotare quella complessità di una chiave narrativa potentissima. Ma farlo male vorrebbe dire trasformarlo in una scorciatoia. Farlo bene, invece, richiede di restituire prima l’uomo e poi la forza: un dramma identitario in cui la devastazione possibile è sempre subordinata alla sua precarietà emotiva. Solo così il controllo delle molecole smette di essere un trucco e diventa tema: quanto resta “umano” chi può tutto?
© RIPRODUZIONE RISERVATA