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Frankenstein, recensione del film di Guillermo del Toro

Frankenstein, recensione del film di Guillermo del Toro

Frankenstein, un’ode gotica all’umanità, animata dalla visione di Guillermo del Toro

Guillermo del Toro, regista visionario e maestro dell’horror gotico, creatore di opere indimenticabili come “Il labirinto del fauno” e “La forma dell’acqua”, torna a incantare il pubblico con “Frankenstein”, una rilettura intensa e personale del capolavoro di Mary Shelley. Presentato in anteprima alla prestigiosa 82a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il film vede protagonisti Oscar Isaac e Jacob Elordi, rispettivamente nei ruoli di Victor Frankenstein e della creatura.

Isaac, attore di straordinaria versatilità, noto per la sua capacità di incarnare personaggi complessi e tormentati in film come “A proposito di Davis” e “Ex Machina”, offre una performance intensa e sfaccettata nei panni del brillante e ambizioso scienziato. Elordi, giovane talento in rapida ascesa grazie al successo di serie come “Euphoria”, sorprende per la sua interpretazione sensibile e toccante della creatura, un essere mostruoso nell’aspetto ma profondamente umano nel suo desiderio di amore e accettazione.

Mia Goth In Frankenstein Credits Netflix

Un’epica “Bromance” tra scienza e mostro: un legame oltre la vita e la morte

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Del Toro reinventa la storia di Frankenstein come un’epica “bromance” tra lo scienziato e la sua creatura, un legame complesso e intenso che trascende i confini della vita e della morte. Entrambi i personaggi sono caratterizzati da un marcato accento britannico, che conferisce loro un’aura di raffinatezza e decadenza. Lo stile visivo del film è inconfondibilmente deltoriano: una serie di immagini elaborate e affascinanti, ricche di dettagli d’epoca finemente realizzati, che creano un’atmosfera cupa e suggestiva.

La fotografia di Dan Laustsen, collaboratore abituale del regista, gioca con le ombre e le luci per esaltare la bellezza macabra delle scenografie di Tamara Deverell e dei costumi di Kate Hawley, che contribuiscono a immergere lo spettatore nel mondo gotico e decadente del XIX secolo. La colonna sonora di Alexandre Desplat, maestosa e commovente, amplifica le emozioni e sottolinea i momenti chiave della narrazione, creando un’esperienza cinematografica coinvolgente e memorabile.

Isaac e Elordi: un duetto di performance memorabili che scava nell’anima

Le interpretazioni di Oscar Isaac e Jacob Elordi sono il cuore pulsante del film, un duetto di performance memorabili che scava nell’anima dei personaggi e ne rivela le fragilità e le contraddizioni. Isaac offre un ritratto intenso e sfaccettato di Victor Frankenstein, un uomo tormentato dalla sua ambizione e dal peso delle sue azioni. La sua interpretazione è ricca di sfumature, che vanno dall’arroganza e dalla sicurezza di sé alla disperazione e al rimorso. Elordi, invece, sorprende per la sua capacità di esprimere la vulnerabilità e la sete di conoscenza della creatura, rendendola una figura complessa e profondamente umana.

Il suo linguaggio del corpo, la sua espressività e la sua voce trasmettono la sofferenza e la solitudine di un essere rifiutato dal suo creatore e dal mondo intero. Mia Goth, nel ruolo di Elizabeth, la promessa sposa del fratello di Victor, illumina lo schermo con la sua presenza eterea e il suo spirito indipendente, offrendo un’interpretazione delicata e intensa di una donna intrappolata in una società che non le appartiene. Christoph Waltz, nei panni del misterioso Heinrich Harlander, aggiunge un tocco di ambiguità e oscurità alla vicenda, offrendo un’interpretazione sottile e inquietante di un uomo che sembra nascondere segreti inconfessabili.

La regia di del Toro: un maestro dell’atmosfera che celebra l’artigianato cinematografico

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La regia di Guillermo del Toro è un vero e proprio trionfo di stile e sostanza. Il regista messicano dimostra ancora una volta la sua maestria nel creare atmosfere cupe e suggestive, che avvolgono lo spettatore in un mondo gotico e decadente. La sua attenzione ai dettagli, la sua cura per l’immagine e la sua capacità di dirigere gli attori sono evidenti in ogni scena del film. Del Toro, inoltre, celebra l’artigianato cinematografico, privilegiando le scenografie reali, i costumi elaborati e gli effetti speciali pratici rispetto alla CGI, creando un’esperienza visiva autentica e coinvolgente.

Un racconto di empatia e redenzione

Nonostante alcune lungaggini e un ritmo a tratti lento, Del Toro riesce a dare nuova linfa vitale alla storia di Frankenstein grazie a un’intelligente svolta narrativa: il passaggio al punto di vista della creatura, che diventa narratore delle proprie esperienze dopo la fuga dal laboratorio. Questa scelta permette allo spettatore di empatizzare con il mostro e di comprenderne la profonda solitudine e il desiderio di essere accettato, trasformando il racconto in una potente riflessione sull’importanza dell’empatia e della compassione.

Qual è il vero mostro? Un interrogativo sospeso tra scienza e coscienza

Nel finale, come spesso accade nelle rivisitazioni di Frankenstein, si pone la domanda cruciale: chi è il vero mostro? In questa versione, Del Toro sembra suggerire che nessuno dei due protagonisti incarna completamente la mostruosità, ma che entrambi sono vittime delle circostanze e delle proprie debolezze. Victor, accecato dalla sua ambizione e dal desiderio di superare i limiti della scienza, crea una creatura senza pensare alle conseguenze delle sue azioni, mentre la creatura, abbandonata e rifiutata dalla società, si trasforma in un essere vendicativo e disperato, incapace di trovare il suo posto nel mondo. Il film, quindi, solleva un interrogativo complesso e attuale sulla responsabilità della scienza e sull’importanza di una coscienza etica che guidi le nostre azioni.

La visione di del toro: un’ode all’umanità attraverso gli occhi di un mostro

Guillermo del Toro, attraverso la sua regia visionaria e la sua profonda sensibilità, trasforma la storia di Frankenstein in un’ode all’umanità, raccontata attraverso gli occhi di un mostro. Il regista messicano ci invita a riflettere sulla nostra natura, sulle nostre fragilità e sulle nostre paure, e ci ricorda che anche il mostro più spaventoso può nascondere un’anima fragile e bisognosa di amore.

Un’opera romantica e tragica

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“Frankenstein” di Guillermo del Toro è un’opera visivamente sontuosa e ricca di emozioni, che esplora i temi universali dell’amore, della perdita, della solitudine e della ricerca di identità. Pur non raggiungendo la perfezione di alcuni dei suoi lavori precedenti, il film rappresenta un’interessante e originale rivisitazione del classico di Mary Shelley, che saprà affascinare gli amanti del cinema gotico e fantastico.

Cosa mi è piaciuto:

  • Le interpretazioni intense e commoventi di Oscar Isaac e Jacob Elordi.
  • Lo stile visivo inconfondibile di Guillermo del Toro, ricco di dettagli e suggestioni gotiche.
  • La colonna sonora di Alexandre Desplat, che amplifica le emozioni e sottolinea i momenti chiave della narrazione.
  • La svolta narrativa che permette allo spettatore di empatizzare con la creatura.
  • La riflessione sulla natura della mostruosità e sulla responsabilità della scienza.

Cosa si sarebbe potuto fare meglio:

  • Snellire la narrazione e accelerare il ritmo in alcuni punti.
  • Approfondire il personaggio di Elizabeth e il suo rapporto con Victor e la creatura.
  • Osare di più nell’esplorazione dei temi più oscuri e inquietanti del romanzo di Mary Shelley.

Verdetto finale

Un’esperienza cinematografica visivamente sbalorditiva ed emotivamente risonante, che eleva la storia di Frankenstein a nuove vette di pathos e bellezza. Al di là della superficie gotica e degli elementi horror, il film è un’ode alla fragilità umana e alla ricerca di connessione, un invito a guardare oltre le apparenze e a riconoscere l’umanità anche nel mostro. “Frankenstein” è un’opera che rimane impressa nella memoria, un’esplorazione profonda e toccante dei temi eterni che da secoli affascinano e commuovono il pubblico.

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