Ventuno anni fa sembrava un esercizio di pura fantasia, uno di quei film catastrofici da godersi senza preoccuparsi troppo della plausibilità scientifica. Eppure oggi, rivedendo The Day After Tomorrow di Roland Emmerich, il confine tra immaginazione e realtà appare molto più sottile. Quello che allora era percepito come un racconto apocalittico fuori misura sembra oggi un presagio inquietante: un film che nel 2004 era fantascienza, ma che nel 2025 assomiglia sempre più a un documentario.
La storia segue Jack Hall, paleoclimatologo interpretato da Dennis Quaid, che individua un brusco collasso del sistema climatico terrestre causato dallo scioglimento accelerato dei ghiacci polari. Le sue teorie, inizialmente ignorate dai vertici politici, si avverano nel giro di poche settimane: uragani, tempeste artiche e tsunami devastano il pianeta, dando il via a una nuova era glaciale. Mentre il mondo sprofonda nel caos, Jack parte da Washington per raggiungere New York e salvare il figlio Sam (Jake Gyllenhaal), intrappolato nella Biblioteca Pubblica di Manhattan insieme a un piccolo gruppo di sopravvissuti.
Con un budget di circa 125 milioni di dollari e oltre 552 milioni incassati al box office mondiale, il film fu un successo commerciale per la 20th Century Fox. La critica, invece, si divise: da una parte l’elogio agli effetti speciali e al ritmo narrativo, dall’altra la contestazione di scienziati e climatologi per l’improbabile rapidità con cui il pianeta si congela. Eppure Emmerich e i suoi sceneggiatori si basarono su teorie reali: il rischio che l’alterazione della circolazione termoalina – il delicato sistema di correnti che regola il clima globale – potesse avere effetti devastanti non era affatto inventato.
Con il passare del tempo, The Day After Tomorrow ha smesso di essere soltanto un film spettacolare. Alcune immagini – la tempesta che cristallizza all’istante New York o gli uragani che spazzano via Los Angeles – sono tornate alla mente di molti durante gli eventi meteorologici estremi degli ultimi anni. L’impressione è che il film abbia cambiato significato: non più un’avventura catastrofista, ma un racconto simbolico che anticipa le nostre paure più concrete. Sui social e sulle piattaforme cinefile, un commento ricorrente sintetizza bene questa trasformazione: «Era fantascienza, ora è un documentario».
Riguardarlo oggi significa misurarsi con una domanda inevitabile: quanto di ciò che nel 2004 ci sembrava esagerato potrebbe davvero accadere? The Day After Tomorrow resta un’opera d’intrattenimento spettacolare, ma anche un campanello d’allarme pop che continua a parlarci del futuro – o, forse, del nostro presente.
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