Quasi quattro decenni dopo il debutto del primo Predator, uno dei misteri più longevi del franchise ha finalmente trovato risposta. Con l’uscita di Predator: Badlands, nuovo capitolo diretto da Dan Trachtenberg, arriva la conferma di untassello fondamentale che ridefinisce la mitologia di una delle saghe di fantascienza più durature e amate del cinema.
Il film, che ha conquistato il primo posto al box office americano al weekend d’esordio con una cifra record per il franchise, segna un nuovo successo per Trachtenberg, già autore del prequel Prey e del film d’animazione Predator: Killer of Killers. Con Badlands, il regista completa un trittico che collega le nuove storie al canone classico, intrecciando per la prima volta in modo esplicito l’universo di Predator con quello di Alien. La chiave è proprio la prospettiva: raccontare la vicenda dal punto di vista di un Yautja emarginato, offrendo così uno sguardo interno alla cultura dei cacciatori. Ed è proprio così che siamo venuti a sapere con certezza chei cacciatori alieni conosciuti come Yautja non appartengono a un’unica razza o clan, ma a una complessa società divisa da culture, codici d’onore e gerarchie diverse. Un
Nel film originale del 1987, il Predator interpretato da Kevin Peter Hall appariva come un singolo guerriero esperto nella caccia in ambienti tropicali. Solo con Predators (2010) si scoprì l’esistenza di una nuova stirpe di “Super Predators”, fisicamente più grandi, forti e tecnologicamente superiori. Ora Badlands conferma e amplia quella distinzione, introducendo la nozione di diversi clan Yautja, ognuno con proprie regole di condotta. La nuova storia mostra in particolare due fazioni rivali del pianeta Yautja Prime: il clan di Njohrr, rigido sostenitore della dottrina della forza, e quello del Grendel King, un signore della guerra che non si fa scrupoli a infrangere le tradizioni della specie.
Questo nuovo capitolo chiarisce così un punto rimasto sospeso per anni. Fin da Predator 2, infatti, il franchise aveva suggerito che gli Yautja seguissero un codice d’onore: cacciavano solo prede armate, rispettavano le regole del confronto leale e premiavano gli avversari degni, come dimostrato dalla celebre scena in cui l’umano Mike Harrigan riceve una pistola a pietra focaia come trofeo. Tuttavia, Killer of Killers e ora Badlands rivelano che non tutti i clan condividono quegli stessi principi.
Il clan del Warlord, infatti, rappresenta una deviazione radicale dal codice tradizionale. Questi Yautja non cercano solo prede valorose, ma utilizzano ogni vantaggio tecnologico per vincere e si considerano superiori perfino ai loro simili. Le opere di Trachtenberg mostrano che questo gruppo si è spinto oltre ogni limite, arrivando a rapire i migliori combattenti dell’universo per creare una sorta di arena cosmica in cui misurarsi contro i più forti di ogni epoca.
La rivelazione di Badlands non è solo un’aggiunta di lore, ma una ridefinizione profonda dell’identità dei Predator. Dopo anni di interpretazioni frammentarie, il franchise trova una coerenza narrativa che unisce i diversi capitoli in un’unica visione: quella di una razza aliena divisa tra onore e ambizione, dove la caccia non è più solo un rituale, ma un mezzo per affermare il potere e la supremazia. E così, a 38 anni dal primo film, scopriamo che il Predator originale non era un’eccezione, ma il rappresentante di una nobile tradizione ormai in pericolo.
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