In C’è ancora domani, tutta la storia di Delia sembra ruotare attorno a gesti minimi, silenzi e piccoli atti di resistenza quotidiana. Ma c’è un oggetto, più degli altri, che attraversa il film come una presenza silenziosa e potentissima: la lettera misteriosa che la protagonista riceve all’inizio e che quasi getta via, prima di decidere di custodirla con ostinazione. Un dettaglio che appare marginale, ma che diventa la chiave emotiva e politica dell’intero racconto.
Il film non rivela subito il contenuto della busta. La mostra solo come un segreto, un peso che Delia porta con sé in tasca, un promemoria muto che sembra darle una forza nuova. È solo nel finale che il suo significato emerge in tutta la sua potenza: dentro quella busta c’è la tessera elettorale, il documento che permetterà a Delia di votare per la prima volta nella sua vita. Un gesto che, nella Roma del dopoguerra e nel clima familiare oppressivo in cui vive, assume la dimensione di un atto rivoluzionario.
Per Delia, che subisce la violenza del marito e vive in un mondo che non concede spazio né voce alle donne, quella tessera non è solo un pezzo di carta: è la prova che qualcosa sta cambiando. È il simbolo di un diritto finalmente riconosciuto, ma anche la scintilla che accende dentro di lei la possibilità di scegliere. Custodire quella lettera significa tenersi stretto un futuro che non ha mai avuto.
Nel corso della storia, Delia mostra tutto il suo istinto protettivo verso i figli, soprattutto verso Marcella, a cui lascia una busta con denaro e una lettera prima di uscire di casa la mattina delle elezioni. Ma il gesto più sconvolgente e intimo è quello che compie per sé: andare al seggio. Votare. Reclamare il proprio spazio in una società che l’ha sempre relegata nell’angolo.
Ed è proprio qui che il mistero della prima busta si scioglie: mentre Delia si dirige verso il seggio, scopre di aver perso la tessera. È caduta sul pavimento, raccolta dal marito Ivano che, in un gesto di rabbia e prepotenza, l’ha appallottolata e gettata a terra. Quella scena racchiude tutto il senso del film: lo scontro tra un potere che si sente minacciato e una donna che non vuole più abbassare lo sguardo.
A ribaltare la situazione è Marcella, la figlia. È lei che trova la tessera appallottolata e che, correndo tra la folla di donne in fila per il voto, riesce a restituirla alla madre. È un passaggio di testimone simbolico e potentissimo: il futuro che dà forza al presente, la nuova generazione che sostiene quella precedente nel momento più importante.
Quando Delia finalmente entra nel seggio e vota, la lettera cessa di essere un mistero e diventa ciò che è sempre stata: il cuore del film, l’oggetto che racchiude in sé dolore, coraggio e possibilità. È il documento che consente a Delia di compiere il gesto che cambia tutto, non solo per lei, ma per la comunità di donne che la circonda.
E quando esce dal seggio, lo sguardo che rivolge a Ivano — deciso, fermo, impossibile da piegare — è il vero epilogo della lettera: non parla, non urla, non fugge. Sta lì. Si prende il suo posto. Lo costringe a fermarsi. È diventata qualcosa che lui non sa più controllare.
La lettera, così piccola e apparentemente insignificante, diventa la prova tangibile del fatto che il cambiamento più grande può nascere da un gesto minuscolo. È l’oggetto che racchiude il passato, il presente e soprattutto il domani che Delia, per la prima volta, sceglie per sé.


