Best Boy, la recensione del film di Jesse Noah Klein

Best Boy, la recensione del film di Jesse Noah Klein

Jesse Noah Klein, regista emergente nel panorama cinematografico canadese, presenta “Best Boy”, un thriller psicologico dalle sfumature di commedia nera, ambientato nel cuore del Québec. Il film, proiettato alla 78a edizione dell’Edinburgh International Film Festival, esplora le dinamiche tossiche di una famiglia disfunzionale, intrappolata in un gioco mortale di competizione e risentimento. Con un cast che include Caroline Dhavernas, Aaron Abrams e Marc Bendavid, “Best Boy” promette di scavare a fondo nelle ferite del passato e nelle conseguenze di un patriarcato oppressivo.

Un ritorno agrodolce alle origini

La trama ruota attorno a tre fratelli adulti – Phillip, Lawrence ed Eli – e alla loro madre, Anne, costretti a fare ritorno nella casa estiva di famiglia, situata nelle regioni orientali del Québec, dopo anni di silenzio e rancore. La morte del patriarca, figura dominante e controversa, è il pretesto di questo ritorno. Tuttavia, ben presto si rivela che la vera ragione è un’antica competizione, ideata proprio dal padre defunto, che li aveva dilaniati in gioventù. Questo torneo familiare, un tempo un rituale apparentemente innocuo, si trasformerà in un campo di battaglia per vecchi rancori e nuove frustrazioni.

Un torneo macabro come metafora della disfunzione familiare

Il fulcro della narrazione è rappresentato da una serie di sfide estreme, che mettono a dura prova la resistenza fisica e psicologica dei fratelli. Questi giochi, apparentemente innocui come trattenere il respiro sott’acqua o correre a quattro zampe attraverso il bosco, si rivelano ben presto un terreno fertile per l’esplosione di vecchi rancori e la riemersione di traumi sepolti. La competizione, ossessivamente regolamentata dalla madre, che indossa un elmo vichingo e legge le regole da un rotolo come se fosse un antico testo sacro, diventa una metafora della tossicità del patriarcato e della sua capacità di plasmare e distorcere le relazioni familiari. In palio, oltre all’agognato titolo di “Best Boy”, c’è una somma di denaro che acuisce ulteriormente le tensioni e le rivalità.

Un’estetica inquietante al servizio della tensione drammatica

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La regia di Klein si distingue per un’estetica curata e inquietante, che contribuisce a creare un’atmosfera di crescente tensione. L’ambientazione isolata della casa estiva, una dimora del 1830 immersa nella natura selvaggia del Québec, amplifica il senso di claustrofobia e di minaccia incombente. La fotografia, con i suoi colori cupi, le inquadrature grandangolari e le riprese dall’alto che richiamano la presenza incombente del padre, riflette lo stato d’animo tormentato dei personaggi e il loro progressivo deterioramento psicologico. La scelta di girare in anamorfico esalta la bellezza selvaggia del paesaggio, ma allo stesso tempo sottolinea la deformazione emotiva che affligge i protagonisti.

Un’eredità scomoda

“Best Boy” si rivela un’esperienza cinematografica intensa e a tratti sconvolgente, che mette in scena con coraggio e originalità le dinamiche oscure che possono annidarsi nel cuore di una famiglia. Un’opera che, pur non essendo esente da difetti, si distingue per la sua capacità di creare un’atmosfera di crescente inquietudine e di invitare lo spettatore a riflettere sulle conseguenze del patriarcato e sulla difficoltà di liberarsi dalle catene del passato. Un film che, pur lasciando un retrogusto amaro, conferma il talento di Jesse Noah Klein come regista capace di affrontare temi complessi con uno stile personale e riconoscibile.

Cosa mi è piaciuto:

  • L’esplorazione delle dinamiche familiari tossiche e dell’influenza del patriarcato.
  • L’atmosfera di suspense e inquietudine, creata grazie a una regia curata e a un’ambientazione suggestiva.
  • Le interpretazioni intense e credibili degli attori, capaci di rendere palpabile il dolore e la frustrazione dei personaggi.

Cosa si sarebbe potuto fare meglio:

  • In alcuni momenti, la tensione drammatica risulta eccessiva e ridondante.
  • La caratterizzazione di alcuni personaggi secondari avrebbe potuto essere più approfondita.
  • Il finale, pur efficace, lascia alcune domande irrisolte.

Verdetto finale:

“Best Boy” è un thriller psicologico intenso e disturbante, che affronta temi complessi come la disfunzione familiare, la competizione tossica e l’eredità del patriarcato. Nonostante qualche piccola imperfezione, il film si distingue per la sua regia curata, le interpretazioni convincenti e la sua capacità di creare un’atmosfera di crescente inquietudine. Un’opera che invita a riflettere sulle dinamiche oscure che possono celarsi dietro le apparenze di una famiglia apparentemente normale.

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