Site icon visionedigitale.it

A oltre 40 anni dalla sua uscita, questo film italiano resta una delle opere più audaci e poetiche sulla memoria della guerra

A oltre 40 anni dalla sua uscita, questo film italiano resta una delle opere più audaci e poetiche sulla memoria della guerra

A più di quarant’anni dall’uscita, La notte di San Lorenzo dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani resta un caposaldo del nostro cinema: non solo per il Premio speciale della giuria a Cannes 1982 e i David di Donatello (film, regia, fotografia, montaggio), ma per il modo in cui ha saputo trasfigurare un trauma reale – l’eccidio nel Duomo di San Miniato del 22 luglio 1944 – in racconto corale, fiabesco ed epico, capace di parlare a generazioni diverse senza perdere aderenza storica.

San Miniato è la matrice biografica e morale dei Taviani: quel lutto collettivo – indagato fin dagli esordi nel documentario San Miniato, luglio ’44 – diventa nel 1982 un romanzo di formazione della memoria. I registi scelgono l’alter ego di San Martino e affidano la narrazione alla voce adulta di Cecilia, che rievoca da madre ciò che vide da bambina. La cornice nella “notte delle stelle cadenti” è una dichiarazione di poetica: non si tratta di ricostruire il passato al millimetro, ma di interrogarne il senso, accettando che anche “le storie vere, certe volte, possano finir bene”.

Estate 1944. Il comando tedesco ordina alla popolazione di radunarsi in duomo. Temendo una trappola, il fattore Galvano (un intenso Omero Antonutti) guida un gruppo misto – contadini, donne, anziani, bambini – verso sud, in cerca delle truppe americane. Poco dopo, nella chiesa, la strage. Il viaggio dei fuggiaschi attraversa campi di grano, casali, fossi, alternando incontri coi partigiani a imboscate fasciste: una geografia morale prima che fisica, dove il paesaggio toscano filmato da Franco Di Giacomo è insieme armonia rinascimentale e campo di battaglia fratricida.

Il racconto è frammentario per scelta: episodi-simbolo cuciti da una messa in scena che guarda al teatro classico, all’Odissea, a un’epica popolare in cui il coro e gli individui hanno uguale peso. Ne sono esempi la sequenza della messa senza ostie: il pane contadino ridotto in briciole diventa ostia “vera”, cuore di una liturgia laica e tragica che anticipa l’eccidio. Cinema politico, sì, ma attraversato da un sacramento terrestre che parla a tutti. E ancora, quella dellamorte del fascista Giglioli: agli occhi di Cecilia il delitto si trasforma in affresco omerico, con opliti che trafiggono il nemico. È il manifesto del film: la realtà non viene negata, viene rilanciata nel mito per essere compresa.

Non mancano stacchi ironici (la gag dei due gruppi nemici che assistono lo stesso morente senza vedersi) e squarci di surrealtà dolorosa (la giovane Mara “immagina” soccorritori italoamericani: un istante di consolazione che si dissolve nel vero). Le musiche di Nicola Piovani tengono insieme questi registri con una partitura che sa essere solenne senza diventare enfatica.

Accanto alla lotta contro l’occupante, il film restituisce la dimensione civile del conflitto – italiani contro italiani – che lacera paesi e famiglie. La celebre battaglia nel grano e la figura del giovane camerata mostrano quanto l’ideologia possa travolgere la pietà, mentre la coralità dei volti (tra gli altri Claudio Bigagli, Enrica Maria Modugno, Paolo Hendel, Margarita Lozano) tratteggia un’Italia che resiste e sragiona, ama e odia, arretra e spera.

Nel cuore di un racconto di fuga e paura scorre un filo erotico-discrezione: gesti, sguardi, piedi immersi in un ruscello, una fetta d’anguria che rinfresca la pelle, un amore tardivo (Galvano–Concetta) finalmente consumato. È la scelta più spiazzante e luminosa del film: la liberazione dei corpi come controcanto alla Liberazione storica. La pioggia estiva del finale, tanto discussa, chiude il cerchio: non un lavacro moralistico, ma ritmo stagionale che rimette in moto la vita.

L’eccidio di San Miniato è stato riletto nel 2004 come errore d’artiglieria americano dopo anni di attribuzione ai tedeschi. La notte di San Lorenzo non è un’inchiesta: rifiuta la riduzione a colpevole singolo, insiste su responsabilità storiche e sulla memoria condivisa che resta, comunque, Resistenza. La complessità, qui, è una postura etica prima che estetica.

A Cannes il film divide: c’è chi denuncia una solennità “d’autore” e chi ne abbraccia la potenza figurativa. Il tempo gli ha dato ragione: La notte di San Lorenzo è diventato paradigma per raccontare la guerra fuori dai codici bellici, dentro il laboratorio della memoria. Ha influenzato un ampio filone che unisce oralità, mito, documento; e continua a risuonare oggi, in un presente attraversato da nuove fratture, ricordandoci che il passato non chiede solo di essere ricostruito, ma rinnovato nel racconto.

Leggi anche: Questo film italiano è tra i più spiazzanti degli anni ’90: un’opera rimossa, eppure profetica

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Exit mobile version