A distanza di un secolo, questo capolavoro resta uno degli incubi più potenti mai proiettati sullo schermo

Più di cento anni dopo la sua uscita, Il gabinetto del dottor Caligari continua a turbare, affascinare e ispirare. Nel 1920, mentre il cinema muoveva ancora i primi passi nel racconto delle emozioni, il regista Robert Wiene firmava un film destinato a cambiare per sempre la grammatica visiva dell’orrore. Niente sangue, niente mostri, niente urla: solo linee spezzate, ombre distorte e un’architettura che sembra respirare insieme alla follia dei suoi protagonisti. Era la nascita del cinema espressionista tedesco, e con esso di una nuova forma di paura: quella che nasce dentro la mente.

La trama, di per sé, è semplice. Un misterioso dottore, Caligari (Werner Krauss), utilizza un sonnambulo, Cesare (Conrad Veidt), per commettere omicidi nella notte. Ma la storia è solo un pretesto per creare un’esperienza visiva mai vista prima. Tutto, nel film, è disegnato per disorientare: finestre oblique, porte deformate, strade che si piegano come in un sogno. Persino la luce sembra tagliare i corpi come un bisturi. Ogni elemento scenico diventa un riflesso della follia, come se l’intero mondo fosse il prodotto di una mente disturbata.
In un’epoca in cui il cinema cercava di imitare la realtà, Caligari fece l’opposto: la distrusse, la reinventò e la trasformò in un incubo estetico di rara potenza.

Ma il vero colpo di genio arriva nel finale, con un colpo di scena che, ancora oggi, resta tra i più rivoluzionari della storia del cinema. Senza rivelare troppo, la prospettiva del racconto si ribalta improvvisamente, trasformando tutto ciò che abbiamo visto in una visione distorta, raccontata da una mente inaffidabile. È un twist che anticipa di decenni film come Psycho, Shutter Island o Fight Club, e che dimostra quanto Wiene fosse avanti nel comprendere il potere del punto di vista e della suggestione.

Oltre alla sua costruzione visiva e narrativa, Il gabinetto del dottor Caligari ha anche un peso simbolico enorme. Molti critici l’hanno interpretato come una metafora del trauma collettivo tedesco dopo la Prima guerra mondiale, o come una premonizione del totalitarismo, con il dottor Caligari nel ruolo di manipolatore, simbolo di un potere capace di ipnotizzare le masse. In questa chiave, il film diventa anche una riflessione politica sulla fragilità della mente umana di fronte all’autorità.

A rendere l’opera ancora più indimenticabile è l’uso del corpo degli attori. Conrad Veidt, con il volto pallido e gli occhi spalancati, trasforma Cesare in una figura allo stesso tempo fragile e inquietante, anticipando la malinconia del mostro di Frankenstein. Werner Krauss, invece, interpreta Caligari con un’energia animalesca, fatta di sguardi ossessivi e movimenti spezzati, come un burattinaio che non sa più distinguere il potere dal delirio. Ogni gesto, ogni sguardo, sostituisce le parole mancanti del cinema muto, costruendo un linguaggio fisico che ancora oggi incanta registi e spettatori.

Guardato oggi, Il gabinetto del dottor Caligari è più che un film: è una visione ipnotica che continua a parlarci del potere e della paura, della follia e dell’immaginazione. È il sogno inquieto da cui è nato tutto l’horror moderno, un incubo di celluloide che, a distanza di un secolo, non ha perso nulla della sua forza eversiva.
Un promemoria potente che il terrore più grande non ha bisogno di sangue o urla, ma di un semplice sguardo che non puoi distogliere.

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