A trent’anni dalla sua uscita, Il muro di gomma di Marco Risi resta uno dei film più coraggiosi del nostro cinema: racconta la strage di Ustica con la lucidità di chi sa che la memoria è l’unico antidoto possibile contro l’oblio e la violenza del potere. Quando nel 1991 il regista decide di portare sullo schermo la storia del DC-9 Itavia precipitato nel Tirreno il 27 giugno 1980, la verità è ancora lontana. Undici anni di indagini e depistaggi non hanno restituito giustizia alle 81 vittime, e il silenzio delle istituzioni continua a pesare come un muro invisibile.
Al centro del film c’è Rocco Ferrante, giornalista del Corriere della Sera interpretato da Corso Salani, figura ispirata ad Andrea Purgatori, che per decenni ha indagato con ostinazione sulla tragedia. Attraverso di lui, Risi racconta non solo la fatica di un’inchiesta controcorrente, ma anche il senso di isolamento e di impotenza di chi cerca la verità in un paese che sembra averne paura. Ogni pista porta a un nuovo depistaggio, ogni documento scomparso rivela una complicità più profonda, e attorno al cronista si alza una barriera fatta di omertà, cinismo e burocrazia. È quel “muro di gomma” evocato nel titolo: una superficie che assorbe gli urti, che respinge ogni tentativo di far emergere ciò che si vuole dimenticare.
Risi opta per un linguaggio sobrio, quasi documentaristico, lontano da qualsiasi forma di spettacolarizzazione. A sua volta, la sceneggiatura scritta da Sandro Petraglia, Stefano Rulli e dallo stesso Purgatori, rinuncia a facili colpi di scena per privilegiare il rigore e la precisione del racconto. La regia è essenziale ma incisiva, sostenuta da un cast che restituisce con naturalezza il clima opaco e claustrofobico di un’Italia divisa tra verità di Stato e dolore privato. Memorabile la scena dell’assicuratore che assegna un valore economico alle vittime in base al titolo di studio, simbolo di un sistema che monetizza perfino la perdita umana.
Come in un’inchiesta cinematografica, Il muro di gomma procede per accumulo di dettagli, di indizi, di sguardi. La verità, suggerisce Risi, non è mai una rivelazione improvvisa ma una conquista faticosa, destinata a restare incompleta. È un film privo di eroi, e proprio per questo autentico: un omaggio alle persone comuni che continuano a chiedere giustizia, ai giornalisti che non smettono di fare domande, ai familiari che non accettano il silenzio come risposta.
Nel corso degli anni, le indagini hanno confermato che l’aereo Itavia non esplose per un guasto, ma fu verosimilmente coinvolto in un’azione militare tra caccia Nato e libici. Una verità che il film aveva intuito già allora, raccontando con coraggio l’ipotesi di un missile e l’implicazione di forze internazionali. La sua forza non sta però nella rivelazione dei fatti, ma nella capacità di trasformare la cronaca in una riflessione universale sul potere e sulla memoria.
Ancora oggi, Il muro di gomma ci svela quanto poco sia cambiato nel rapporto tra informazione, politica e giustizia. Risi non ricerca il pathos, ma l’indignazione lucida, quella che nasce di fronte a un paese che dimentica troppo in fretta. Le verità scomode continuano a venire coperte da nuove forme di rumore e disinformazione, per questo il film continua a parlarci con la stessa urgenza di allora. Perché ricordare non è solo un atto di pietà: è un gesto di resistenza.
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