Diciotto anni fa arrivava sui grandi schermi di tutto il mondo un film riconosciuto tra i migliori – se non il migliore – del XXI secolo, considerato un vero e proprio capolavoro della settima arte. Firmato da Paul Thomas Anderson, Il petroliere ci ha regalato uno dei ritratti più spietati e affascinanti mai realizzati sull’ambizione, sull’avidità e sui limiti che siamo disposti a varcare pur di raggiungere il successo. Un’abbaglio creativo che non solo sta superando la prova del tempo, ma che sembra ancheacquistare forza e inquietudine a ogni nuova visione.
Al centro del film vi è la figura di Daniel Plainview, il cinico cercatore di petrolio protagonista interpretato da un Daniel Day-Lewis semplicemente monumentale. Il percorso di Daniel Plainview è uno studio esemplare sul potere corruttivo della ricchezza che si articola attraversouna parabola morale in cui il petrolio – nero, vischioso, incontrollabile – diventa la perfetta metafora visiva dell’avidità. Non è un caso che l’iconica battuta «Io bevo il tuo frullato» sia diventata il simbolo di un capitalismo predatorio portato alle sue estreme conseguenze.
Premiato con l’Oscar per il Miglior attore, Daniel Day-Lewis ha regalato con Daniel Plainview una costruzione attoriale totale, che scava nel corpo, nella voce e nello sguardo fino a restituire un ritratto definitivo della corruzione morale. Una performance che è istantaneamente entrata di diritto nella storia del cinema e che è universalmente acclamata tra le più intense e convincenti di sempre. Se Daniel Day-Lewis è la stella polare de Il petroliere, questa è tuttavia resa ancora più luminosa dallo straordinario cast che gli gravita intorno. Paul Dano dà vita a un doppio ritratto memorabile nei panni dei fratelli Sunday, mentre Ciarán Hinds e il giovane Dillon Freasier contribuiscono a rendere il mondo del film credibile e dolorosamente reale.
Il petroliere mette subito in chiaro la cruda realtà in cui vivono i suoi personaggicon una sequenza d’apertura quasi muta, ipnotica, che segue un giovane Plainview impegnato nell’estrazione dell’argento. È un cinema fatto di gesti, fatica e silenzi, che improvvisamente si spezza con un tragico incidente. Da quel momento, lo spettatore resta agganciato a un personaggio che affascina e respinge allo stesso tempo per l’estremo cinismo delle sue azioni.
Un fascino ipnotico che è valorizzato dalla stessa struttura narrativa. Il petroliere non segue una classica divisione in atti, ma si muove per episodi, mostrando deviazioni improvvise e svolte che destabilizzano l’apparente equilibrio dei personaggi. Ogni evento e ogni rapporto umano che Plainview stringe per convenienza non fa che alimentare la spirale di misantropia in cui versa, rendendo la storia imprevedibile e disturbante. La celebre scena dell’incendio della torre petrolifera, girata con un realismo quasi documentaristico, è decisiva in questo senso, e rappresenta non solo uno dei momenti più potenti e devastanti del film, ma dell’intero cinema contemporaneo.
Man mano che l’impero di Plainview cresce, la sua umanità si dissolve tuttavia come neve al sole, svelando il vero cuore tragico del film rappresentato dal baratto tra potere e anima. Se all’inizio troviamo un uomo ambizioso, duro ma ancora riconoscibile, alla fine non rimane altro che un guscio, ricco e facoltoso, ma completamente e irrimediabilmente solo.
Un ruolo fondamentale nella costruzione delle atmosfere del film è stato giocato dalla colonna sonora di Jonny Greenwood, una delle più inquietanti mai abbinate alle immagini di Anderson. I suoi suoni orchestrali, tesi e dissonanti, accompagnano il degrado morale del protagonista, mentre la fotografia di Robert Elswit, premiata anch’essa con l’Oscar, sfrutta inoltre la luce naturale per immergere lo spettatore nell’atmosfera di un’America sempre più divisa tra fervore religioso e cupidigia imprenditoriale.
Il petroliere è, in definitiva, una feroce critica al sogno americano. Prima ne racconta il lato seducente – l’uomo che si fa da sé, la conquista, il successo – poi ne smaschera l’ombra più cupa, l’idea che nulla sia mai abbastanza, e che ogni traguardo richieda un sacrificio sempre più alto. Un monito potente che suona più attuale che mai.
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Foto: Miramax
Fonte: ScreenRant
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