Quale potrebbe essere
il futuro dei visori per la realtà virtuale? Meta ne propone due, che si
trovano ai lati opposti.
Il primo viene chiamato Tiramisu e compromette l’angolo di
visione per arrivare a un livello di dettaglio in cui i mondi virtuali sono
indistinguibili dal mondo reale.
Mentre il secondo, noto come Boba 3, fa il contrario:
allarga di molto l’angolo di visione, anche se richiede una scheda grafica di
fascia molto alta.
Tiramisu punta tutto
sulla qualità visiva. Usa due schermi micro-OLED ad altissima risoluzione e
raggiunge i 90 pixel per grado (3,6 volte la definizione del Quest 3), una
luminosità di 1.400 nit e un contrasto triplo rispetto all’attuale top di gamma
di Meta.
L’uso di lenti in vetro, più pesanti ma più precise di quelle in
plastica, riduce al minimo le aberrazioni ottiche.
Il campo visivo è
limitato (33° x 33°), ma, sostiene Meta, ciò che si vede supera qualsiasi esperienza di realtà
virtuale attuale, con neri profondi, bianchi intensi e dettagli così definiti
da avvicinarsi a un “test di Turing visivo”.

L’architettura interna
sfrutta componenti già collaudati, come il sistema di tracciamento del Quest 2,
combinati con grafica in tempo reale di Unreal Engine 5 e tecniche di upscaling
come DLSS 3 di NVIDIA.
Boba
3 estende, di molto, la visione periferica
Se Tiramisu sacrifica
l’ampiezza visiva per la qualità dell’immagine, Boba 3 percorre la strada
opposta.
Il prototipo raggiunge
180° di campo visivo orizzontale e 120° verticale – il 90% della visione umana – contro il 46% coperto da un Quest 3.
La risoluzione arriva a 4K per occhio,
sostenuta da un’ottica avanzata con lenti “pancake” e polarizzatori ad alta
curvatura.

Il peso resta vicino a
quello di un visore di consumo, ma per funzionare al meglio richiede una GPU di
fascia estrema, a testimonianza dell’enorme quantità di dati visivi da gestire.
L’obiettivo è offrire una sensazione di “presenza periferica” che amplia il
senso di immersione e rende più naturale l’interazione nello spazio virtuale.
Tiramisu e Boba 3 sono
il frutto di anni di investimenti nelle tecnologie ottiche e di
visualizzazione. In ogni caso, si tratta anche di ricerche che usano tecnologie
che “potremmo non vedere mai in un prodotto consumer”.