Il fondatore di Oculus ha lanciato una bella provocazione: e se producessimo computer direttamente in America, invece di dipendere dall’Asia per tutto?
La sfida impossibile di Palmer Luckey: produrre PC Made in USA
Palmer Luckey non è tipo da mezze misure. Dopo aver rivoluzionato la realtà virtuale con Oculus (venduta a Meta per 2 miliardi) e aver fondato Anduril nel settore della difesa, ora vuole fare quello che nessuno osa tentare: produrre computer 100% made in USA.
Il sondaggio che ha lanciato su X è stato un successo clamoroso. Quasi 80.000 persone hanno risposto alla sua domanda: Comprereste un computer americano anche se costasse il 20% in più di un Apple made in China?
Il risultato? Un sonoro sì dal 63% dei votanti.
Would you buy a Made In America computer from Anduril for 20% more than Chinese-manufactured options from Apple?
— Palmer Luckey (@PalmerLuckey) July 20, 2025
La realtà dietro i sogni patriottici
Ma trasformare l’entusiasmo in realtà è un’altra storia. La Federal Trade Commission americana non scherza… Per fregiarsi del marchio “Made in USA“, un prodotto deve essere quasi interamente fabbricato sul suolo americano. Non basta assemblare componenti stranieri in una fabbrica del Texas.
Il problema è che oggi le catene di approvvigionamento tech sono completamente dominate dall’Asia. Tutto arriva da Taiwan, Cina e Corea del Sud: processori, memoria, schermi, batterie. Tant’è che se un iPhone venisse prodotto completamente negli USA, costerebbe 3.000 dollari invece di 1.000. Ed è lo stesso motivo per cui il Trump Mobile è solo un grande bluff.
Reindustrializzazione o missione suicida?
L’iniziativa di Luckey si inserisce in un movimento più ampio di “reshoring”, il ritorno della produzione in patria. Ma la sfida è titanica. Gli Stati Uniti non hanno più le fabbriche, le competenze specializzate, né i fornitori necessari per produrre elettronica avanzata.
Costruire un ecosistema produttivo completo richiederebbe investimenti miliardari e anni di sviluppo. Nel frattempo, l’Asia continuerebbe a dominare il mercato con costi imbattibili e filiere rodate da decenni.
Il prezzo della sovranità digitale
Luckey non sta facendo tutto questo per patriottismo romantico. Ha capito una cosa: quando tutta la tua tecnologia arriva da un altro continente, sei nei guai se quel continente decide di chiudere i rubinetti. La pandemia ce l’ha insegnato bene. All’improvviso non arrivavano più chip, le fabbriche cinesi erano chiuse, e l’America si è ritrovata a fare la fila come tutti gli altri. Per un Paese che si considera la prima potenza mondiale, è stata una bella svegliata.
E ora che i rapporti con la Cina sono sempre più tesi, la domanda diventa ancora più scomoda: cosa succede se un giorno Pechino decide di non vendere più niente all’America?
Ma i consumatori sono davvero disposti a pagare il doppio per un computer patriottico? Il sondaggio dice di sì, ma è facile rispondere a un questionario online. Altra cosa è tirare fuori i soldi al momento dell’acquisto.