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L’intelligenza artificiale sta cambiando il modo di produrre la musica, vediamo come

L'intelligenza artificiale sta cambiando il modo di produrre la musica, vediamo come

A chi non è mai capitato di ascoltare una canzone e pensare è troppo perfetta? Ultimamente, succede sempre più spesso. Brani che tecnicamente non hanno difetti, ma che sembrano vuoti. Voci così pulite da sembrare finte, produzioni impeccabili che però non trasmettono niente. È come se dietro non ci fosse una persona vera, con le sue imperfezioni e le sue storie.

Gli algoritmi, infatti, stanno silenziosamente colonizzando tutte le piattaforme di streaming. Spotify, Apple Music e gli altri giganti del settore si stanno riempiendo di tracce generate dall’intelligenza artificiale. Il problema è che il più delle volte non lo sappiamo. Ascoltiamo queste canzoni pensando che dietro ci sia un musicista in carne e ossa, mentre invece è tutto generato da un computer. Così ci perdiamo quella quid che rende speciale la musica vera: l’umanità di chi l’ha creata.

Non si tratta di essere contrari al progresso. È una questione di trasparenza. Abbiamo tutto il diritto di sapere se quella canzone che ci sta facendo compagnia è nata dal cuore di un artista o dall’intelligenza artificiale. Come quando compriamo un prodotto al supermercato e leggiamo gli ingredienti.

Come smascherare le canzoni generate dall’AI

La buona notizia è che l’AI non è ancora perfetta. Se si sa dove guardare, è possibile riconoscere quando una canzone non è autentica. Tutto sta ad allenare l’orecchio.

1. Ascoltare oltre le parole

I testi generati dall’AI sono spesso il tallone d’Achille più evidente. Mentre un algoritmo può assemblare parole che fanno rima e seguono una struttura metrica, è difficile che riesca a catturare la profondità emotiva e narrativa che caratterizza la scrittura umana.

Occhio quindi ai testi troppo generici o che si basano su cliché consumati. L’AI ci sguazza nei luoghi comuni e nelle frasi fatte. Se una canzone d’amore parla solo di cuori spezzati e stelle nel cielo senza mai scendere nel particolare, è sospetta. La musica vera racconta dettagli: il modo in cui l’altro rideva quando era divertito, il modo ipnotico di muovere le mani quando raccontava le cose… L’intelligenza artificiale fatica con queste cose. Sa che l’amore fa male, ma non sa che fa male in modo diverso per ognuno di noi.

I titoli delle canzoni sono altrettanto rivelatori. Spesso sono eccessivamente descrittivi o utilizzano combinazioni di parole che suonano accattivanti ma mancano di quel twist creativo che un autore umano aggiungerebbe naturalmente.

2. L’assenza di respiri

Le performance vocali artificiali, per quanto impressionanti, hanno ancora difficoltà a replicare le sottili imperfezioni che rendono umana una voce. Un cantante vero porta con sé il bagaglio delle proprie esperienze: il modo in cui respira prima di una nota alta, come la voce si incrina leggermente in un passaggio emotivo, le piccole variazioni nell’intonazione che raccontano una storia.

L’AI tende a produrre voci troppo “pulite”, dove ogni nota è perfettamente intonata e ogni frase ha la stessa intensità emotiva. Dal punto di vista tecnico è impeccabile, ma è privo di quella casualità spontanea che nasce dall’emozione genuina.

Bisogna prestare attenzione a come cambia la voce da un verso all’altro, se ci sono variazioni nell’interpretazione, se si percepisce una crescita emotiva nel corso della canzone. Se tutto suona uniformemente perfetto, probabilmente lo è fin troppo.

3. Andare oltre la musica

I social media sono diventati l’estensione naturale di ogni artista autentico. Musicisti veri condividono il loro processo creativo, interagiscono con i fan, mostrano momenti di vita quotidiana e raccontano le storie dietro le loro canzoni.

Se ci s’imbatte in un artista con una presenza online minimal, profili social che pubblicano solo link alle nuove uscite senza mai mostrare il volto umano dietro la musica, biografia generica senza dettagli personali o storia artistica, è il momento di alzare le antenne.

Ci sono video di concerti? Interviste? Foto con altri musicisti? Anche solo qualche storia su Instagram?
Se non si trova niente, ma proprio niente, è strano. I musicisti veri lasciano tracce ovunque: un’esibizione in un locale, una collaborazione, una foto sgranata del backstage. Se esiste solo la musica e basta, senza nessuna prova che dietro ci sia una persona in carne e ossa, probabilmente non c’è.

Il caso di The Velvet Sundown su Spotify è emblematico. Il gruppo ha raggiunto 500.000 ascoltatori mensili prima che si scoprisse che era una band inesistente di fatto, completamente generata dall’AI.

Come riprendere il controllo delle playlist

Si si vuole ascoltare musica fatta da persone vere, ecco come fare.

1. Creare le proprie playlist personalizzate

Le playlist automatiche e quelle generate dagli algoritmi delle piattaforme di streaming sono comode, ma sono anche il veicolo principale attraverso cui la musica AI si insinua nelle nostre abitudini d’ascolto. Dedicare tempo a curare personalmente le playlist musicali, come si faceva una volta, non solo garantisce maggiore controllo sui contenuti, ma permette anche di scoprire musica in modo più consapevole e intenzionale.

Invece di affidarsi alle raccomandazioni automatiche, è utile esplorare generi specifici, seguire le collaborazioni tra artisti che già si conoscono, o chiedere consiglio direttamente ad amici con gusti musicali simili ai propri.

2. Scegliere piattaforme trasparenti

SoundCloud, ad esempio, permette ancora un contatto diretto tra artisti e ascoltatori. Deezer è stata tra le prime piattaforme major a introdurre etichette specifiche per identificare i contenuti generati dall’AI. Sostenere piattaforme che adottano politiche di trasparenza invia un messaggio chiaro all’industria musicale su quello che gli ascoltatori vogliono.

3. Stabilire una connessione genuina con gli artisti

La musica vera ha sempre una storia dietro. Seguire gli artisti sui social media, leggere interviste, guardare documentari sulla loro vita e carriera, o assistere a concerti dal vivo permette di sviluppare una connessione più profonda con la musica che si ascolta.

Prendiamo “Gocce di Memoria” di Giorgia, quando la canta, non si sta ascoltando solo una voce incredibile. Si sente il dolore vero per la perdita di Alex Baroni, il suo compagno morto in un incidente. È una canzone nata dal lutto, dalla nostalgia, dal bisogno di tenere vivo un ricordo. È proprio questo che manca all’AI, il bagaglio di esperienze reali. Giorgia può cantare quella perdita perché l’ha vissuta sulla sua pelle. Un algoritmo può imitare il dolore, ma non sa cosa significa perdere qualcuno che ami e dover trovare un modo per continuare.

Quando si conosce la storia dietro una canzone, come nel caso di Giorgia, il legame con Alex Baroni, il loro amore, la tragedia, ogni nota assume un peso diverso. E soprattutto, si sviluppa l’orecchio per capire quando quella autenticità manca.

L’AI sta uccidendo la musica?

Non è un caso se Spotify e le altre piattaforme si riempiono di musica fatta dall’AI. Cataloghi infiniti, zero royalty da pagare. Per loro è l’affare del secolo. Per i musicisti è un disastro. Ogni volta che si ascolta una canzone generata dall’intelligenza artificiale, si sta privando un artista in carne e ossa di opportunità e di entrate.

Non si tratta solo di una questione etica, ma anche di sostenibilità culturale: se la musica artificiale diventa la norma, rischiamo di perdere quella diversità e autenticità che nasce solo dall’esperienza umana. Un algoritmo può simulare la tristezza, ma non sa cosa significa perdere un lavoro a 50 anni. Può riprodurre la gioia, ma non ha mai sentito il cuore che batte forte prima di un primo bacio.

La tecnologia dovrebbe aiutare gli artisti a fare musica migliore, non sostituirli. Essere consapevoli e fare scelte consapevoli è il primo passo per garantire che la musica continui a essere quello che è sempre stata: un’espressione autentica dell’animo umano.

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