La stretta cinese sulle criptovalute avrebbe una motivazione molto seria e pragmatica, che sembra andare ben oltre un giudizio di merito sulle criptovalute stesse. Il timore delle autorità sarebbe legato ai consumi elettrici durante il periodo invernale.
La Cina cerca i miner nascosti
Ecco perché la stretta non è stata solo formale, ma continua anzi con crescente pressione. Le autorità cinesi starebbero ora cercando le attività di mining nascoste presso università e centri di ricerca, ove celano le proprie attività (traffico dati e consumi) mascherandole dietro parvenze formali legate ad altri ambiti. Ma se l’obiettivo è quello di tagliare i consumi, probabilmente in vista di un rincaro ulteriore del costo dell’energia che porterebbe a difficoltà eccessive negli approvvigionamenti civili e industriali, allora la stretta non può che proseguire in modo capillare tutto dove i consumi vanno a rivelarsi eccessivi.
Secondo Bloomberg, le attività si sarebbero inoltre nascoste agli occhi delle autorità attraverso una forte parcellizzazione sul territorio: non grandi “factory”, ma piccole centrali casalinghe con le quali rifuggire a controlli e blocchi. Così facendo alcuni miner sono scampati al blocco delle attività, ma dovranno fare i conti con una politica restrittiva che ha basi logiche apparentemente molto solide.
Ancora una volta il problema delle criptovalute sta nei consumi, insomma, e la sensazione è che la questione possa farsi sempre più seria nei mesi a venire: la scelta cinese è dettata da questo stesso movente, ma per il mining le alternative sono scarne: non basta promettere un approvvigionamento “verde”, ma bisogna anche incidere meno sui consumi che gravano sulle politiche energetiche nazionali.