Napoli è real, ma non dice la verità

Facebook
WhatsApp
Twitter
LinkedIn
Telegram


È da tempo ormai che diciamo quanto questi anni ’20 siano una stagione d’oro per la musica napoletana. Pure il 2025 è iniziato sotto questo segno: chissà quanti, allo scoccare della mezzanotte, hanno mollato la ditretta su Rai 1 – con gli insulti a microfono aperto di Angelo dei Ricchi e Poveri verso i tecnici del programma – per fiondarsi ad ascoltare il nuovo disco di Liberato, uscito proprio allo scoccare della mezzanotte del primo gennaio.

In questa stagione di rinnovamento, c’è anche una forza che mette in connessione musicisti di generazioni diverse: è così che la giovanissima Alice, proveniente dal collettivo dei Thru Collected, tra le piùinteressanti e multiformi realtà della musica contemporanea d’oggi, è che in contatto con Francesco Di Bella, già nei 24 Grana, gruppo fondamentale per la scena napoletana anni ’90, e ora anche solista.

Nasce così Che ‘a fà, una canzone che racconta un amore ma anche la necessità di essere sinceri, di dire la verità, prendendo in prestito dalla città di Napoli le sue ambientazioni, il suo ritmo frenetico e i suoi scenari, raccontando un pezzo emotivo della vita di ciascuno che la abita. Abbiamo incontrato Francesco Di Bella e Alice per una intervista doppia sulla canzone, sulla città – e i suoi negozi di dischi – che poi è anche una chiacchierata tra loro due, per conoscersi ancora meglio.

Nella canzone c’è il tragitto dei percorsi in treno o in metro attraverso Napoli, con tanti tratti e colori, e attraverso le diverse sezioni della canzone sembra anche di spiare prima nelle cuffie di uno, poi dell’altro e poi vedervi condividere lo spazio.

Di Bella: Il pezzo ha avuto una costruzione abbastanza lunga, era un embrione che avevo da tempo e ho elaborato con Marco Giudici partendo da un’idea cinetica del ritmo. Il treno o la metropolitana che immaginavi è nell’andamento della base. È un’idea ruffiana del ritmo frenetico della nostra bella città e sono state importanti le transizioni prodotte in modo magistrale da Marco che abbiamo curato tanto per arrivare a una parte dedicata ad Alice, per darle tutto lo spazio per esprimere il suo punto di vista, e secondo me ha spaccato. Così è venuta fuori questa sezione completamente nuova, in cui abbiamo inglobato un mondo nuovo, diverso dal mio perché siamo persone diverse, ma con un background molto vicino, molto simile.

Alice: Secondo me la canzone ricorda un po’ Napoli stessa. Il fatto che ha delle parti che sembrano diverse ma stanno bene insieme. Mi piace immaginare Napoli come un centro di tante diversità ma che si mescolano comunque insieme.

Napoli è una città molto ruffiana. È un’impressione soltanto mia o ce l’avete anche voi?

Alice: No, io rispondo banalmente sì.

Di Bella: Si, ed è stato proprio ricercato dal punto di vista ritmico dare il mood ruffiano della città. E mi fa piacere che in qualche modo arrivi. La ritmica è stata elaborata costruendo comunque una batteria vera suonata da Alessandro Cau, un bravissimo musicista sardo. E abbiamo costruito questa ritmica tra l’afrobeat e la cumbia non si capisce bene. Un po’ free.

Mi ha molto incuriosito il video ambientato in un negozio di dischi soprattutto perché negli ultimi tempi chiudono tanti negozi di dischi a Napoli. Quali sono i vostri riferimenti della nostra cultura musicale?

Alice: Be’, direi Fonoteca.

Di Bella: Sai che ci abbiamo lavorato entrambi, in Fonoteca? Infatti il video avremmo potuto fare lì, ma l’abbiamo fatto da DisClan perché io abito a Salerno. Fonoteca è rimasto veramente uno dei pochi, grazie alla caparbietà di Roberto, che ha una testa dura e lo conosco bene perché siamo stati anche coinquilini. Nella canzone la metafora della «Sambuca con il caffè bruciato» vuole raccontare proprio quello. Quello che si sta perdendo di Napoli è che è sempre stata musicalmente incredibile. A Napoli la musica sta là, tu basta che la vai a prendere in qualche modo. È chiaro che se poi non sai dove cercarla diventa più complicato. Quando sono cresciuto musicalmente io c’erano ancora tanti negozi di dischi in città e avevamo l’opportunità di confrontarci, come in Alta Fedeltà, con tanti Jack Black o John Cusack, che è fondamentale. Adesso ce ne sono pochi e questo è rischioso.

Un verso dice «Una musica che non cantava più per noi». La musica di Napoli, canta ancora per voi due? Quale musica di Napoli canta per voi?

Di Bella: Per me ci sono stati Thru Collected e Alice, no?

Alice: Quello che viene da Napoli continua a ribollire dentro di me, nonostante a volte penso che Napoli sia un po’ in un cortocircuito, perché ci conosciamo tutti, sembra un po’ di volerne ancora, ma in realtà non ce n’è, perché è sempre quella. Però la musica di Napoli mi risuona sempre dentro.

Proprio tu, Alice, hai un rapporto particolare con la generazione precedente, perché hai collaborato con Francesco, con Meg, e comunque i Thru Collected sono molto amati dalla generazione precedente, oltre ad aver riscoperto il concetto di collettivo.

Alice: Soprattutto a Napoli noi siamo amati dalla generazione di Francesco più che dalla nostra, ed è divertente, perché forse facciamo riaffiorare alla memoria qualcosa di passato. Secondo me la cosa che manca oggi è il vero senso di collettività, che invece forse nell’epoca di Francesco c’era di più, era più spontaneo, più diretto. Invece oggi la collettività la devi sempre un po’ ricercare.

E come hai scoperto la loro musica?

Alice: Non so come li ho scoperti, erano già là. I 24 Grana me li fece ascoltare il mio ex ragazzo, e me ne innamorai, Meg ha fatto parte della mia adolescenza, e anche un po’ il 99 Posse. Non so come mi sono arrivati, però appena li ho trovati me li sono tenuti stretti.

Invece Francesco ne ha visti passare di fenomeni: ora c’è una scena rinata, dal tuo osservatorio privilegiato di persona che c’era prima di loro, come vedi questo momento in cui pare che Napoli sia quasi ovunque?

Di Bella: Quando abbiamo iniziato a cantare in dialetto era da sfigati, giusto nei centri sociali si poteva cantare il napoletano oppure dovevi essere un neomelodico. Pino Daniele era una roba troppo alta per arrivarci, quindi chi provava a scimmiottarlo faceva ridere. Abbiamo usato il napoletano perchè puzzava di stile molto urbano, lo facevamo noi, i rapper e penso che proprio da questa mescolanza, sia nata la nuova musica più interessante a Napoli. In questo momento è di moda, ma anche per non perdere l’identità. Se assorbiamo il dialetto anche in forma poetica mi sembra necessario cercare di esprimersi così senza dover necessariamente rimanere confinati alla scena campana. A differenza di una decina d’anni fa quando se cantavi in napoletano, eri regionale, oggi per fortuna riesci ad andare molto oltre la regione e questo è molto figo.

E il fatto che da fuori cercano di parlare in napoletano, che impressione ti dà?

Di Bella: È divertente perché è una lingua che riesci ad assaporare molto in bocca, quindi capisco che qualcuno ci provi, ma d’altronde pure noi quando ci è simpatica qualche espressione milanese o romana noi la imitiamo, quindi per fortuna!

In tempi di discografia un filo ballerina, Francesco non ha mai cambiato etichetta: La Canzonetta è proprio uno di quei loghi grossi sugli spartiti delle canzoni classiche napoletane.

Di Bella: È come mettere le proprie canzoni in cassaforte. I miei titoli, e lo dico con grande orgoglio, sono custoditi insieme a Malafemmena, Io te vurria vasà, quindi è un catalogo che difficilmente la gente butterà via.

In questa collaborazione vi siete scambiati degli ascolti?

Di Bella: Non ancora, però è la prossima domanda che le avrei fatto: “Aggiornami un po’”. Oppure ci facciamo una passeggiata insieme in Fonoteca. Tu mi regali un disco e io te ne regalo uno.

Alice: Ti prego, sì.

Di Bella: Infatti, mi è accaduto una volta con Piero Pelù, tanti anni fa, eravamo proprio in Fonoteca e lui mi regalò L.A.M.F. di Johnny Thunder and the Heartbreakers. Me lo tengo ancora bello custodito tra i miei mille vinili. Mi colpì profondamente, perché poi Johnny Thunders da lì l’ho scoperto ed è stato tra i miei amori, insomma.

C’è qualcosa di nascosto in questa canzone?

Di Bella: Forse l’aspetto romantico: uno dei versi a cui tengo di più è proprio quando dice: “Nun sto buono senz’e te, penso sempe ‘e t’aspettà, ma m’e ditto nun te fa piacere”.

Alice: Ma ti volevo chiedere, ti hanno proprio detto che non gli fa piacere?

Di Bella: Sì, è capitato proprio, poi si è risolto tutto, per fortuna, ma è stato un momento brutto. Alice: Immagino, perché a me non me l’hanno ancora detto in modo esplicito, però stanno zitti, quindi mi fa male lo stesso, mi ritrovo.

Di Bella: Eh, ma io parlo di storie lunghe, hai capito?

Alice: Eh, no, immagino, comunque sì. mi ritrovo con questo fatto della parte un po’ più romantica del pezzo.

«Tutta Napoli è cose, nun te dice ‘a verità»: qual è la verità secondo voi che Napoli nasconde e che non ci dice?

Alice: Ho sempre pensato che Napoli fosse una città molto real, nel senso che scendi per strada e le cose che accadono ti si schiattano in faccia e tu rimani sempre sopraffatto quasi da tutto quello che vedi. Poi, in questo caso, sempre tornando al suo essere ruffiana, è particolare perché è contrastante: da una parte penso che Napoli sia real e dall’altra parte, invece, che siamo un po’ falsi. Come quando ci lamentiamo che Napoli non funziona bene e poi appena inizia a voler assomigliare ad altre città europee, subito diciamo “che schifo”. E quindi è un po’ contrastante questo aspetto della verità su Napoli, o almeno me la vivo così.

Di Bella: Mi piace molto quello che hai detto, pure io penso che siamo un po’ falsi. E aggiungerei che poi abbiamo questa caratteristica di nascondere la tragedia con la commedia.


L’articolo Napoli è real, ma non dice la verità di Marco Mm Mennillo è apparso su Rockit.it il 2025-01-01 22:41:00





Source link

Visite totale 1 , 1 visite oggi

Continua a leggere

Più minuti giocati nel 2024

Minuti giocati  ©TM/IMAGO Verrebbe da chiamarli stacanovisti supremi. Parliamo di quei calciatori che nell’anno appena passato hanno passato quasi più tempo su

Scorri verso l'alto