Musica per lasciarla andare

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Forse Danzicaè il progetto sperimentale di Matteo Rizzi, bergamasco classe 1997. Già ci aveva abituato a opere abbastanza oblique, ma la sua ultima uscita va decisamente oltre l’insolita. Negli scorsi giorni ha infatti pubblicatosu SoundCloud e Bandcamp una Messa da requiem scritta in occasione del funerale della madre, avvenuta lo scorso agosto.

Sono dieci tracce, che seguono la struttura della tradizione delle messe da requiem di impronta classica, con i vari brani che accompagnano i momenti della liturgia: dall’introito all’offertorio, dal santo alla sortita di benedizione. L’obiettivo è restituire anzitutto l’impianto e lo stato d’animo di quel rito, su cui poi Forse Danzica porta le “proprie sonorità”, che spaziano dall’elettronica al cantautorato, dal metal al drone.

Il disco verrà presentato tramite un listening party su Bandcamp oggi, 8 ottobre alle ore 21, sul suo canale. Ma una prima esibizione c’è già stata, ed è stata il motivo per cui l’album è nato. Matteo ha infatti eseguito la messa in occasione del funerale della madre il 20 agosto. Dopo quel momento ha completato il missaggio, fino alla pubblicazione, su cui è stato indeciso fino all’ultimo. 

Per capire il suo stato d’animo, e l’unicità di questo lavoro basta leggere cosa Matteo ha scritto per presentare uno dei brani del disco, Lux Aeterna. “Questo brano, probabilmente il più intenso dal mio punto di vista, è stato scritto dopo che il medico, tre giorni prima della morte di mia madre, mi aveva detto che a causa della sedazione non si sarebbe più risvegliata, e che non c’era modo di parlarle ancora. La prima cosa che ho pensato a quel punto è stata che non mi avrebbe più sentito, e che fosse troppo tardi per dirle qualsiasi cosa avrei voluto dirle; la seconda è stata che comunque le avrei parlato lo stesso, incoraggiandola a smettere di resistere all’agonia e di lasciarsi andare a tutto ciò che di buono implica la morte, ovvero, di nuovo, la fine degli affanni”.

Ecco quello che invece ha raccontato a noi. 

Quando hai maturato definitivamente l’idea di un disco di questo tipo? 

Sono diversi anni che mi interessa la musica liturgica, e che in generale rifletto sulla gestione delle macrostrutture delle composizioni classiche. La malattia e la morte di mia madre sono state anche per me delle esperienze dalle proporzioni inedite, e sentivo il bisogno verso me stesso di sancire quelle sensazioni con qualcosa che fosse completamente diverso da quello che avevo sempre fatto. 

Che lavoro hai fatto sulla composizione?

Inizialmente ho preso i testi latini del canone tradizionale delle Messe da Requiem, e mi sono chiesto per ognuno di loro cosa volessero dire, quali fossero i punti salienti e in che modo potessero essere riletti. Sostanzialmente mi sono chiesto: cosa penso, da ateo di ventisei anni con una formazione cattolica, della Comunione? E dell’Eterno Riposo? E dell’Offertorio? Per ognuna di queste riflessioni ho scritto delle parole o appuntato delle idee, pensando a quale forma volevo avessero da un punto di vista musicale. Poi per tre settimane consecutive ho passato ogni momento libero a scrivere o registrare, a volte anche durante le nottate in hospice, perché nel frattempo avevo caricato di simbologia questa cosa: volevo assolutamente finirla prima che mia madre morisse, sia per lei, sia perché sapevo che volevo a tutti i costi catturare le emozioni di quel momento perché le percepivo come fondamentali per la mia vita.

Hai fatto suonare il disco durante il funerale di tua mamma. Perché?

Era il mio modo di ringraziarla e perché è stato fatto essenzialmente per quel motivo. La messa seguiva le varie fasi del rituale, e volevo che l’ultimo atto di mia madre non fosse guastato dalle suore stonate con il chitarrino. Che comunque hanno deciso che per il bene della comunità – non chiedetemi cosa voglia dire – bisognava comunque fare dei canti, costringendomi a tagliare delle parti.

Cosa ti ha comportato emotivamente questo lavoro?

È stato bellissimo in realtà, mi ha aiutato a reindirizzare parte del dolore e dell’angoscia, mi ha fatto sentire di avere uno scopo e mi ha dato una conferma vitale del mio rapporto con la musica. Sentivo quasi di avere un committente e una scadenza, solo che il committente erano le mie emozioni e la scadenza era la morte di mia madre. E a livello creativo è stato anche divertente, perché sentivo una libertà che davvero non avevo mai sentito prima: la coerenza interna del lavoro era data dal suo scopo, e potevo quindi creare delle associazioni libere tra sensazioni e linguaggio.

Il missaggio è avvenuto dopo il funerale. Che ricordo hai di quella fase?

Paradossalmente rilassata: quello che dovevo fare, ovvero fare la messa al funerale, lo avevo fatto. All’inizio volevo mixarlo solo per completezza, e poi ho deciso che a quel punto valeva la pena farlo uscire.

Ora come ti senti all’idea che il disco sia uscito?

Normale, appunto il mio obiettivo era farla suonare in chiesa. Farlo uscire è una cosa in più, un modo per mettere un punto. Ho voluto uscire in sordina su piattaforme “laterali” per ribadire a me stesso l’autoreferenzialità, in senso buono, di questo lavoro

Cosa hai ascoltato in quel periodo? 

Le uniche reference classiche sono al livello delle idee e dell’approccio. A livello musicale le reference sono i miei ascolti abituali. In quei giorni ho ascoltato tanto i Radiohead, Aphex Twin, i Sunn O))) e il disco solista di Grian Chatten. Poi certo, ho ascoltato molto anche le messe da requiem che preferisco per vedere come venivano resi i vari momenti. Faurè, Mozart, Verdi, Mayr, però più per riflessione che per influenza vera e propria. 

Come si passa da Mozart alle sonorità di questo disco? 

Non si passa: la connessione è a livello di intenzione. Non credo nemmeno che avrei le capacità di maneggiare le forme classiche, l’orchestrazione tradizionale, le strutture. Figuriamoci farlo al livello di Mozart. Ma ho letto tutto il suo epistolario e molti resoconti su quei leggendari ultimi giorni di vita e di composizione. Diciamo che mi ha influenzato a livello di ricerca di uno scopo e di approccio all’espressività musicale. Non volevo fare delle belle canzoni, volevo fare una messa che esprimesse attraverso un codice musicale i miei sentimenti rispetto alle fasi del rito del requiem e rispetto alla morte in generale. 

A livello di scrittura, quali le cose migliori che hai trovato sul lutto nelle tue ricerche?

Intanto ho letto molto in questo ultimo periodo gli Xenia di Montale. De André poi parla molto finemente della morte e ha anche avuto diverse fasi di interesse laico alla tradizione religiosa che ho tenuto molto in considerazione.

Ecco, tu insisti molto sul tuo ateismo in sede di presentazione del disco. Perché pensi sia una premessa importante da fare? 

Perché è un disco che parla di morte, e la morte dei credenti è molto diversa dalla morte dei non credenti. Per i primi è un ponte, per i secondi è la fine di ogni cosa. Volevo togliere ogni patina di spiritualità e parlare di morte dalla prospettiva umana del limite. L’approccio è lo stesso di unTestamento di Tito o di unLaudate Hominem, ma senza la polemica. 


L’articolo Musica per lasciarla andare di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2024-10-08 14:51:00



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