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Era il 1978. Si poteva osare. Se poi capitavi nell’etichetta discografica dove osare rappresentava la normalità, allora eri a cavallo. Andrea Tich entrò inCrampscon un pugno di canzoni e ne uscì con un album intitolato Masturbati. Un album che ha influenzato più di un musicista di casa nostra (nessuno dei quali è mai diventato cieco, peraltro) entrando di diritto nella categoria dei dischi di culto.
A quasi cinquant’anni dalla sua pubblicazione, Tich torna sulla scena del delitto e tira fuori Masturbati prima e dopo: provini originali, versioni inedite, live e remix condensati in un vinile 180 grammi, un cd e un poster, il tutto curato dall’etichetta milaneseLa Bella Scheggia. Quale occasione migliore per scambiare quattro chiacchiere con Andrea Tich?
Andrea, com’è nata l’esigenza di rimettere le mani su Masturbati?
L’idea mi stava frullando in testa già da un po’ di tempo. Masturbati è stato, negli anni, un vero e proprio oggetto di culto, molti giornalisti hanno sottolineato l’influenza che ha avuto su gruppi come Afterhours e cantautori come Liberovici e Bugo. In molti lo ritengono un caposaldo della cultura alternativa anche per l’anno in cui uscì, il 1978. Così ho pensato: perché non raccontare come è stato prodotto l’album con materiale inedito? Ho tirato fuori i provini che registrai con un Revox A77, un registratore a nastro che permetteva di sovraincidere le varie tracce in una (overdubbing). Ecco perché il disco si intitola Masturbati prima e dopo. Il prima sono i provini, il dopo è quello che poi ne è venuto fuori. Come i remix, le versioni live, quelle alternative, piccoli aneddoti raccontati e anche materiale fotografico di quel tempo curato da Renzo Chiesa, che mi ha fornito delle rarità delle quali non conoscevo l’esistenza.
I provini li tenevi in qualche cassetto o sei stato costretto a ravanare in giro?
Si tratta di materiale personale, li ho sempre portati con me da quando mi sono trasferito a Milano nel 1977, li ho custoditi religiosamente e, con Christian Alati, un mio amico nonché vicino di casa che si occupa di restauro audio, siamo riusciti a renderli più ascoltabili, conservando quel sapore casalingo che caratterizzava le registrazioni di quei tempi. Ho scoperto anche delle cose che non ricordavo, come giri di basso suonati con le corde basse della chitarra elettrica (ci mancava fisicamente la chitarra basso), oppure strumenti inventati come percussioni con bottiglie di vetro, le latte della conserva di pomodoro usate come piatti e strumenti giocattolo come lo xilofono.
E i remix, invece, da dove arrivano?
Alberto Scotti di Snowdonia mi ha messo in contatto con Francesco Martini, musicista italiano residente a Bruxelles. Francesco ha un home studio dove produce musica per i media, è stato lui a chiedere ad Alberto: “Sai che mi piacerebbe re-mixare qualche canzone di Andrea Tich, so che ha fatto un disco con voi” (Siamo nati vegetali, nda). L’intesa è stata immediata, Francesco ha re-mixato Paese, Porta i fiori e Masturbati dando loro un taglio moderno, inatteso da un certo punto di vista: è riuscito a ricavare dei remix da canzoni già abbastanza bizzarre senza snaturare gli originali.
Come mai non hai aggiunto al cofanetto la versione originale dell’album?
Dopo la morte di Gianni Sassi, il catalogo Cramps è stato rilevato da Alfredo Tisocco e poi ceduto ad altri fino ad arrivare alla Sony Music, che lo tiene lì in deposito in attesa di chissà che cosa. Ho contattato i vari direttori artistici della Sony chiedendo loro di partecipare al remix del mastering originale, ma non c’è stato interesse. Ho proposto anche questo progetto ma non erano ugualmente interessati. Quindi non posso assolutamente toccare il mio album perché non ne sono il proprietario, anche se sono autore dei testi e delle musiche.
Se potessi tornare indietro, come ridisegneresti Masturbati?
Non lo toccherei, è stato lo specchio di quegli anni sia per me sia per gli avvenimenti accaduti in quel periodo. Ancora oggi, quando suono dal vivo, mantengo lo stesso stile, anche solo con la chitarra acustica, che poi è stato lo strumento con cui ho scritto tutte le canzoni dell’album. Poi, certo, si cambia, dal 1978 a oggi mi sono evoluto musicalmente, infatti, a parte i tre remix, non ho voluto riarrangiare drasticamente le altre canzoni. Anche le versioni live sono più o meno fedeli agli originali.
Sai, c’è questo trend di rivisitare vecchi album, registrarli con nuove versioni dei pezzi originali e farsi accompagnare da un bel tot di ospiti. Ecco, se avessi la possibilità di condurre in porto un’iniziativa simile, chi chiameresti a cantare e suonare con te le canzoni di Masturbati?
In fondo, questo album è una rivisitazione dell’originale e se proprio dovessi, mi piacerebbe vedere la prospettiva delle mie canzoni (così come è in realtà avvenuto con Francesco Martini e i suoi tre remix) con altri produttori e musicisti. Ce ne sono alcuni che stimo molto, per esempio: Brian Eno, John Leckie, Flood (Mark Ellis) che, secondo il mio punto di vista, possiedono un valore che per me è molto importante, quello di saper trasformare con sonorità innovative gli “ambienti” musicali ideali e a toccare le giuste corde dell’anima.
È vero che a decidere il titolo del tuo primo album fu Gianni Sassi?
L’ultimo brano del lato B del vinile era intitolato Masturbati, un’ode all’atto di masturbarsi maschile. Quando siamo arrivati in sede di decisione grafica, Sassi non voleva un titolo con il mio nome e cognome, pensava fosse troppo anonimo, ci voleva qualcosa che non fosse banale ma originale e di impatto. Allora disse: perché non lo intitoliamo Masturbati? Un’idea geniale, nessuno ci aveva pensato, un’idea che però presentava alcuni pro e contro: chiunque poteva imbarazzarsi ad andarlo a comprare, non è che potevi acquistarlo on line come oggi, bisognava andare per forza nel negozio di dischi e chiederlo, l’alternativa era passare ore a cercarlo tra gli scaffali. Anche dal punto di vista promozionale ci sono stati non pochi problemi: alcuni giornali non vollero recensirlo, anche qualche radio non lo programmò. Quindi è stato un po’ penalizzato, però questa cosa, alla fine, mi è tornata molto utile, tant’è che oggi c’è sempre qualcuno che mi dice “Ah, ma tu sei quello di Masturbati!”. Giordano Casiraghi (giornalista e scrittore milanese, nda) lo chiama addirittura l’innominabile! Ma nonostante tutto, questa situazione, mi riempiva di orgoglio.
Secondo te, l’album è stato penalizzato anche dal fatto che i testi erano incentrati sull’omosessualità?
Non ho mai pensato all’omosessualità come limitazione. A quei tempi ero molto ingenuo, schietto e un po’ naive. I temi personali si fondevano con i ricordi, le sensazioni con il sogno, con la favola, la fantasia. Il mio album si prestava ad una lettura immediata, ad un ascolto che voleva essere “sereno”, senza la ricerca di significati reconditi o di specifici messaggi tra le righe.
Cosa ricordi dei giorni della registrazione dell’album?
Ne ho un ricordo stupefacente, peccato non aver documentato scattando qualche fotografia, ma ho impressi i ricordi di ogni singola giornata passata in quello studio. Sono stati undici giorni bellissimi. Registravamo al Joahnn Sebastian Bach di via Carbonera a Milano, lo studio usato da quasi tutti gli artisti di Cramps. Eravamo solo noi, dell’etichetta non venne mai nessuno, lasciavano carta bianca, eravamo autonomi. Arrivavamo la mattina, io, il batterista Claudio Panarello, Claudio Rocchi e il tecnico del suono Robertino Zappalà. Lavoravamo tutto il giorno. Le sessioni aggiunte di Lucio Fabbri (violino e synth), Hugh Bullen (basso), Daniele Cavallanti (sax) e Pino Patti, un chitarrista siciliano, musicista di Claudio Rocchi, hanno arricchito le canzoni dando loro un deciso sapore progressivo. Quindi, siamo arrivati al mix finale e da lì è partita la mia storia.
Avevi un produttore di grido: Claudio Rocchi.
Alcuni giorni prima di andare in studio, andavamo tutti a casa sua, nell’indimenticabile, grande mansarda di viale Campania: tiravamo giù gli accordi, le idee, cercavamo di capire come sviluppare e organizzare il lavoro in studio. Claudio era un personaggio incredibile, aveva un rispetto enorme per i musicisti, non ha avuto nulla da dire riguardo a quelle che potevano essere le mie idee bizzarre, come i nastri registrati velocemente, le batterie registrate basse o alte, voci, le vocine di La primavera nel bosco, tutti elementi un po’ “zappiani”. Rimasi molto soddisfatto, perché la mia paura era che si snaturalizzasse il mio intento: infatti, se ascolti il disco originale e poi i provini, non troverai grande differenza.
Quanto c’è stato di suo in Masturbati?
Claudio non ha partecipato dal punto di vista strumentale, si è limitato a fare il produttore, il suo apporto, come dicevo prima, è stato nel coinvolgere dei musicisti e farli suonare sulle mie basi. L’assolo di sax di Daniele Cavallanti in Paese ti rapisce, l’assolo di violino elettrico di Lucio Fabbri nel brano Il candidato è graffiante ed efficace. Una delle caratteristiche delle mie canzoni è di comporre una prima parte cantata e poi, come se le parole sviluppassero un illusorio film su cui si snoda una parte strumentale, si crea una sorta di colonna sonora che ti porta in qualsiasi mondo tu voglia.
Com’era l’ambiente in Cramps?
Partiamo da Michelangelo Romano, che conduceva Popoff sui canali radiofonici della Rai: invitava i musicisti in erba a spedire cassette alla trasmissione, assicurando una valutazione. Io mandai la mia e, colpo di scena, mi scrisse dicendomi che le mie canzoni erano molto interessanti anche se difficili, ma c’era un’etichetta sorta da poco, la Cramps, appunto, che poteva fare al caso mio. Così mi mise in contatto con Gianni Sassi: io e Claudio Panarello, mio fido batterista da sempre, ci siamo trasferiti a Milano alla fine del 1977, eravamo partiti da Augusta, in Sicilia, con la mia Volkswagen gialla. Incontrammo Gianni Sassi nel suo incredibile studio e, dopo una bella chiacchierata e l’ascolto delle canzoni, si decise di stipulare un contratto. L’ambiente Cramps era fantastico per noi, vedere dal vero Demetrio Stratos, Ares Tavolazzi e tutto il resto degli Area o Finardi sembrava irreale, andammo anche negli studi per assistere alle registrazioni di Alberto Camerini… Era come un sogno.
Masturbati è stato il tuo unico album targato Cramps.
Sassi era un imprenditore culturale, non si occupava solo di musica, aveva anche questa predisposizione per il cibo quando ancora non c’era l’emorragia dei mille chef stellati odierni e per la pubblicità. Era un innovativo, ma a inizio anni ’80 la Cramps chiuse i battenti ed io rimasi tra quelli che il secondo disco non riuscirono a pubblicarlo.
Però la tua carriera artistica è proseguita…
Ho continuato per diversi anni lavorando nell’ambito delle colonne sonore, dei jingle pubblicitari e di produzioni di vario genere. Dopo un 45 giri con la Polygram nel 1983 e una auto-produzione insieme a Maurizio Marsico della Monofonic Orchestra dal titolo Milano (città nella città), nel 2010, con l’etichetta Snowdonia ho ripreso da dove avevo lasciato, pubblicando il secondo disco, Siamo nati vegetali. Poi, da lì, ho proseguito negli anni a produrre altri album come Una cometa di sangue nel 2014, Parlerò dentro te, del 2018, Storia di Tich, del 2021, con la Magister Espresso Orchestra di Alessandro Sbrogiò. E oggi ecco Masturbati prima e dopo, un album celebrativo in vinile 180 grammi. Quindi, cari appassionati di musica e collezionisti, se volete conoscere e scoprire la mia musica, venite a trovarmi su www.tich.it.!
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L’articolo “Masturbati”: l’invito di Andrea Tich è sempre lo stesso di Giuseppe Catani è apparso su Rockit.it il 2025-05-15 11:07:00
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