Basta cercarle in rete le immagini delle manifestazioni di quel 25 aprile 1995. È sufficiente guardare quei volti incazzati per capire quale cappa di tensione ci fosse in quella giornata, a Milano come a Roma, nei piccoli e nei grandi centri dello Stivale. Se fino a un anno prima il 25 aprile era considerato una giornata di festa come tutte le altre o quasi, utile a rendere omaggio ai partigiani e cantare l’immarcescibile Bella ciao, da quel giorno cambia tutto.
Riavvolgiamo il nastro: nel 1994, il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi vince le elezioni in combutta con la Lega Nord e Alleanza Nazionale, ovvero il partito post fascista. Dopo quasi mezzo secolo, gli eredi di Benito Mussolini sono al potere, alla faccia delle lotte partigiane e dei disastri perpetuati dalle camicie nere. Incazzarsi è il minimo, anche in virtù delle spericolate frasi pronunciate in quei giorni dai maggiorenti di AN: Mussolini è stato il più grande statista del secolo, riprendiamoci l’Istria e la Dalmazia e via delirando. Rabbia, tensione, ma anche voglia di reagire. Non solo in piazza. Anche il microcosmo del rock indipendente italiano si mobilita e tira fuori un album epocale: Materiale Resistente.
Diciotto pezzi, altrettante rielaborazioni inedite di vecchi canti partigiani. Un disco che in questi giorni compie trent’anni. Ne ripercorriamo la storia con Fabrizio Tavernelli, deus ex machina dell’operazione nonché, all’epoca, frontman degli A.F.A..
Fabrizio, puoi spiegarci come arrivò a materializzarsi l’idea di Materiale Resistente?
Il tutto nasce da una chiacchierata in un ufficio della Biblioteca di Correggio tra il sottoscritto e Alessandro Pelli degli Istituti Culturali. Il ragionamento di allora verteva sulla necessità di attualizzare l’esperienza della Resistenza partigiana, sulla ricerca di nuovi modi e linguaggi per fare conoscere alle nuove generazioni una eredità, gli ideali su cui si fondava la Liberazione. L’idea era quella di creare un cantiere permanente, che lavorasse sulla memoria e sulla sua conservazione attraverso una urgenza e un rinnovamento che si stava perdendo in quello che era diventato il cerimoniale troppo ufficiale del 25 aprile, spesso retorico e rivolto soltanto a un periodo storico. Un periodo senza dubbio cruciale, ma che doveva essere un punto di partenza per affrontare un nuovo fascismo, per riconoscere le sue nuove forme.
Ricordiamolo: eravamo in un periodo particolare…
Era il 1995 e l’Italia era alle prese con la cosiddetta discesa in campo di Berlusconi e con una nuova destra spettacolare, un fascismo catodico e un nuovo modello culturale che avrebbe plasmato nei decenni a venire l’essenza stessa di una popolazione. La politica, quella a noi vicina, la sinistra in genere si erano trovati impreparati a questo avvento, troppo legate a forme e schemi che erano stati ribaltati dal Cavaliere e dalla persuasione del suo megafono mediatico, la Fininvest. C’erano da ricercare nuove resistenze, una resistenza culturale, per cui il primo pensiero è stato quello di coinvolgere tutta quella scena che in un certo modo aveva indicato un percorso di nuove musiche, nuove parole, nuovi spazi: I Dischi del Mulo e il Consorzio Produttori Indipendenti. Io mi ritrovai a fare da collante tra quella realtà e il Comune di Correggio, il sindaco Claudio Ferrari in primis, che ebbe l’intelligenza di sostenere quel progetto, così come la sezione Anpi locale che aderì con entusiasmo, vista la necessità di mantenere in vita l’associazione attraverso il coinvolgimento di giovani antifascisti. L’invenzione di Materiale Resistente parte da una associazione mentale che si scatenò nella mia testa: urgenza, dunque un linguaggio diretto, una sorta di “Do it yourself” senza barriere, qualcosa di veemente, punk nella sostanza. Andando a rovistare tra i nomi di gruppi punk, tralasciando quelli più famosi, il pensiero cadde su Infiammable Material, album dei politicizzati Stiff Little Fingers. Da infiammabile il materiale divenne resistente. Da lì in poi fu un coinvolgimento, una elaborazione, una creazione di un evento che piano piano diventò così grande da sorprenderci tutti.
Quali furono le modalità di assegnazione dei 18 pezzi?
Naturalmente l’intuizione iniziale, dopo il coinvolgimento del Consorzio, dei Dischi del Mulo, in particolare Massimo Zamboni, Giovanni Lindo Ferretti, Gianni Maroccolo e Paolo Bedini (manager del CPI) ha avuto la possibilità di concretizzarsi, di avere una dimensione nazionale. Quindi oltre a quelli del consorzio (CSI, Marlene Kuntz, Ustmamò, AFA, Yo Yo Mundi, Disciplinatha, Santo Niente etc.) furono invitati gruppi vicini per suoni e tematiche (Modena City Ramblers, Africa Unite, Gang, Mau Mau, Skiantos…). L’esperienza, i contatti, il credito degli ex CCCP ed ex Litfiba nonché l’importanza del Consorzio trovarono le giuste sinergie e supporto nel Manifesto, che distribuì il CD nelle edicole, così come la videocassetta del docu-film girato da Davide Ferrario e Guido Chiesa. L’album sarà successivamente distribuito dalla Polygram/Universal. La scelta dei brani fu libera, nel senso che essa doveva cadere sul rifacimento di un canto partigiano, su un inedito a tema, su un collage di citazioni, con la comune idea e impegno di dare una lettura contemporanea a quei materiali musicali e letterari/testuali. Per quanto mi riguarda, fu Zamboni a dirmi di scegliere una canzone o di crearne una apposita: io ritrovai inCon la guerriglia le parole che, traslate, mi indicavano una guerriglia non più armata ma culturale. Per tutti, comunque, dato un concetto generale e modalità, ci fu la libertà di creare o ricreare.
Tu che ruolo avevi in quel momento nel Cpi?
Gli AFA, o Acid Folk Allenza, erano entrati nel 1993 nella scuderia de I Dischi del Mulo, che in quell’anno ci procurò un contratto con la Sugar di Caterina Caselli per il nostro primo album. La cosa non durò molto e, una volta sciolto il contratto, ci ritrovammo nel Consorzio che stava muovendo i primi passi. Nel 1995 usciva il nostro secondo album,Fumana Mandala, e l’agenzia che gestiva i gruppi del Consorzio ci organizzava date in giro per l’Italia, spesso si condividevano palchi, festival, rassegne. Si ragionava come se fossimo dentro a una factory più che una etichetta discografica, i progetti diventavo comuni, i contatti e le opportunità di ogni gruppo o figura coinvolta nel CPI servivano per ampliare la conoscenza di tutta la scena sul territorio. Io, per esempio, ogni volta che si presentavano possibilità di organizzare cose mi interfacciavo con Massimo e Giovanni. Da uno scambio di idee e suggestioni, si passava al progetto e alla proposta. Tante volte ci siamo ritrovati a ipotizzare, fare sedute di brainstorming o partire soltanto da un concetto. Giovanni e Massimo erano poi strategici nel reperire spazi e fondi. Quello che è successo un po’ con Materiale Resistente.
La direzione artistica di Materiale Resistente venne affidata proprio a Massimo Zamboni.
Considero Materiale Resistente un progetto condiviso. Io sono partecipe di una illuminazione iniziale ma, da solo, non avrei avuto la forza di giungere a una riuscita e riscontro così eclatante. Il risultato è dovuto alle energie che si sono sommate. Giunto a quel punto e viste le aspettative, era naturale che la gestione artistica, ma anche tecnica, dell’operazione fosse affidata a figure che sapevano come muoversi in un ambito più largo. Vedo quell’album, quell’evento, quello che ne è seguito con affetto e orgoglio, non sono neanche quello che ha capitalizzato maggiormente ma non mi interessa, l’importante è esserci stato dentro, avere creato una scintilla iniziale già partendo dal conio della sigla. Per qualcuno sono l’inventore di Materiale Resistente, per qualcun altro ci ho soltanto messo il cappello sopra… Probabilmente la verità è nel mezzo, in ogni caso preferisco guardare avanti, continuare a fare cose nuove, creare e non rivangare. Materiale Resistente è di tutti e esisterà nonostante tutti.
Ci furono delle polemiche sull’interpretazione di Fischia il vento da parte degli Skiantos. Ricordi qualcosa dell’episodio?
Mah, può essere che qualcuno non abbia gradito quella versione dissacrante, è vero che in certi ambienti legati all’Anpi ci fu qualche malumore. Ammetto che io stesso a un primo ascolto rimasi dubbioso. Però, nel discorso generale di Materiale Resistente c’era comunque l’idea di togliere quella patina sacrale, da tempo imbalsamata, un po’ consolatoria della narrazione resistenziale e lasciare spazio a rielaborazioni. L’ironia e lo sberleffo (non verso la Resistenza o la Liberazione ma verso la retorica) degli Skiantos è un’altra visione possibile.
Ci furono polemiche anche per la presenza dei Disciplinatha nell’album?
Sui Disciplinatha c’è sempre stata una diatriba sulla loro presunta vicinanza a posizioni destrorse. In verità, il loro è stato un discorso legato a un immaginario rielaborato in modo provocatorio, diciamo una fascinazione estetizzante che non significava adesione ma riutilizzo artistico di simbologie e fenomenologie. Un po’ quello che hanno fatto i CCCP con le estetiche filo-sovietiche. Non a caso, i Disciplinatha sono stati i primi a uscire per la neonata Dischi del Mulo e non a caso i volantini, i proclami e le loro strategie di comunicazione saranno riportati in chiave profetica nel libro seguito all’uscita del CD.
Materiale Resistente fu anche un concerto, quasi uno spartiacque…
Assolutamente. Non è altisonante dire che esiste un prima e un dopo Materiale Resistente. Non tutti i gruppi riuscirono a suonare quel giorno, causa un violento temporale. Modena City Ramblers, Corman e Tuscadu, Marlene Kuntz, Disciplinatha, A.F.A., Yo Yo Mundi riuscirono a esibirsi, CSI e altri no. Il concerto richiamò migliaia di giovani e fece incontrare partigiani e nuovi resistenti. Vista la riuscita dell’evento, ci furono altre edizioni in giro per l’Italia, tra cui, nel settembre dello stesso anno, alla Festa dell’Unità di Reggio Emilia. Dopo quell’evento, che si tenne in un campo di una frazione di Correggio, vicino a una casa colonica diroccata che durante la resistenza era stata una casa di latitanza, ci fu un fiorire di iniziative, concerti, progetti che guardavano a quell’evento come modello. Non parlo soltanto di linguaggi musicali, di produzioni culturali ma della riscoperta dell’Anpi che si trovò di fronte una impennata di nuovi iscritti che trovarono una nuova casa, magari delusi dai partiti che risentivano di una crisi e delle sconfitte subite dal fascismo in doppiopetto. C’è un momento ben preciso di quel giorno che credo sia altamente simbolico, ovvero l’intervento di Germano Nicolini, il Comandante Diavolo, sul palco a dare forza e emozionare un pubblico fatto di giovani provenienti da ogni dove. Ricordo quella marea di persone che arrivava attraverso i campi e una condivisione che sentivi nell’aria, stava succedendo qualcosa di grande, più grande di tutti noi e delle nostre aspettative. Nemmeno il temporale di metà pomeriggio riuscì a spegnere quel fuoco e quella energia, ci ritrovammo in tanti sotto il palco o sprezzanti del pericolo riparati da quella ex casa di latitanza che aveva nascosto i partigiani e che oggi accoglieva nuovi antifascisti.
Hai parlato di Anpi, ma il suo logo non appare all’interno del booklet del cd.
In effetti è così, ma nella realtà e nella costruzione dell’evento ha avuto un grande peso. Sia nel mettere a disposizione materiali, vissuti e concretamente volontari, sia nell’apertura e in gesti di grande significato come la modifica dello statuto, che prima limitava il tesseramento ai soli ex partigiani e che, successivamente, venne aperto a chi si riconosceva nella dicitura di “antifascista”. Io, all’epoca, iniziai a scrivere sul Notiziario Anpi con una rubrica mensile e qualche tempo dopo sarei diventato presidente della sezione correggese per una decina di anni. A insistere affinché accettassi la carica fu il partigiano e presidente onorario Avio Pinotti. DopoMateriale Resistente, l’Anpi continuò a produrre altri materiali, in particolare altri docu-film e iniziative, continuando quel cantiere della memoria.
Ne abbiamo già accennato: oltre a un disco e a un concerto, Materiale Resistente è stato anche un libro e un film…
Il film omonimo è un docu-film curato da Davide Ferrario e Guido Chiesa, che raccoglie interviste e testimonianze di partigiani e giovani antifascisti tra il pubblico del concerto, materiali di repertorio e riprese live dei gruppi. Uscì allegato al quotidiano Il Manifesto nelle edicole e poi distribuito in diverse sale cinematografiche e, da allora, in replica su vari canali televisivi. Il libro raccoglie scritti di Giovanni Ferretti, Guido Chiesa, Davide Ferrario e del sottoscritto. Ci sono foto dei luoghi, dei cippi in ricordo a episodi, battaglie, eccidi da parte dei nazifascisti, immagini del concerto di Fabrizio Cicconi. All’interno anche un raffronto con la situazione del conflitto etnico nella ex Jugoslavia con uno scritto di Nedzad Maksumic e foto scattate da Fabio Boni in un campo profughi bosniaci. Fu una operazione di uscite ben orchestrata.
Ti capita di riascoltare l’album? Cosa ne pensi oggi?
Sì, ogni tanto ci torno sopra. Naturalmente, l’album risente delle sonorità del periodo ma continua a mantenere una sua spontaneità e una verità che travalica suoni, modi e generi. Mi riporta a un periodo davvero importante, possibile, felice per la musica italiana e, se allarghiamo, mi fa pensare a una voglia di reagire, di resistere che era percepibile, che portava a riconoscersi, a scegliere una parte. I miei pensieri vanno però oltre la musica, che comunque era un mezzo, uno strumento, un vestito, e investono invece la situazione politico sociale di questi giorni davvero complessi. Oggi, purtroppo, ritrovo le preoccupazioni del periodo, una destra che sfonda in Italia come in Europa, come in America, come nell’Occidente tutto. Ritrovo di nuovo una sinistra debole, balbettante che in mancanza di idee e ideologie si rifugia nel passato per ritrovare una identità perduta. Una cosa consolatoria e rassicurante ma rivolta all’indietro, che non affronta l’oggi, l’accelerazione di processi autoritari e derive. Ci vorrebbe un nuovo Materiale Resistente ma, rispetto al 1995, cambiati i modi di comunicare e distinguere la realtà da una sua costruzione artificiosa, temo sarà sempre più difficile ricompattare una massa critica o una resistenza culturale.
Dei gruppi presenti nel disco non è rimasto quasi nessuno: oggi, nel 2025, se avessi la possibilità di imbarcarti in un nuovo Materiale Resistente, chi inviteresti?
Mah, quello che dici è relativamente vero. Molti di quegli artisti e gruppi sono ancora attivi, magari hanno soltanto cambiato denominazione o hanno intrapreso altri percorsi. Certo, è vero che l’attenzione degli addetti al settore è rivolta da un’altra parte. La domanda che fai la ritrovo spesso nelle discussioni che affronto relativamente all’ipotesi di una riproposizione dell’operazione. Proprio quest’anno, ricorrendo il trentennale, l’intenzione di ritornare sull’esperienza era un po’ nell’aria. La dialettica è tra organizzare un evento con i protagonisti del 1995 o con nuovi nomi. I due estremi possono essere l’effetto nostalgia per chi c’era o il giovanilismo a tutti i costi. Proprio qui, a Correggio, ci sarà una due giorni legata alla Festa di Liberazione, una giornata pensata per i più giovani il 25 e una il 26, che vedrà sul palco Zamboni, Dish is Nein (ex Disciplinatha), Ezio Bonicelli degli Ustmamò, Andrea Chimenti, il sottoscritto (che ha curato la seconda giornata), Stato Brado, Cristiano Godano. Sinceramente, faccio un po’ fatica a identificare immediatamente nuovi nomi che potrebbero essere oggi Materiale Resistente e non parlo tanto di contenuti musicali su cui la scelta potrebbe anche essere varia, ma piuttosto di contenuti nei testi o nella portata ideale, sociale, di arte quale specchio del nostro quotidiano che non siano le intimità un po’ fragili di certo nuovo cantautorato o l’equivoco del nuovo indie che è spesso musica leggera. Non è un male e non è condannabile fare canzoni commerciali, ma il tutto rimane in superficie come in certo cinema italiano relegato alla sfera personale. Sono però sempre pronto a ricredermi.
Qualcosa si muove anche tra l’Appennino…
La dicitura Materiale Resistente tornerà il prossimo 14 giugno a Palagano, sull’appennino modenese, con la supervisione di Davide Morandi dei Modena City Ramblers e della sua associazione “Col passo a tempo di chi sa ballare”. Oltre ai Modena, ci saranno Umberto Palazzo, Yo Yo Mundi, Africa Unite Combo Session, Dish is Nein, Gang, Giorgio Canali, Mara Redeghieri, Luca Morino e Tatè Nsongan dei Mau Mau. Sarà una lunga giornata, immagino assai partecipata. Spero diventi pure una occasione per ragionare, meditare, trovare qualche risposta e soprattutto tramandare ai più giovani quello che abbiamo assimilato.
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L’articolo La storia dietro “Materiale Resistente”, la colonna sonora di ogni nostro 25 aprile di Giuseppe Catani è apparso su Rockit.it il 2025-04-23 11:26:00