A volte la vita ti sottopone a prove complicate. E così nel giorno in cui a 17 anni dal precedente capitolo esceViva tu, il nuovo disco di Manu Chao, una specie di evento messianico per tutti noi residuati bellici d’millennio, mi ritrovo ad avere altre priorità d’ascolto. Obbligate dall’hype e dalla rilevanza dell’uscita del collega e competitor dell’ex Mano Negra in questione.
Perché Jacopo Lazzarini in arte Lazza, nato 30 anni fa esatti nel quartiere Calvairate di Milano, oggi è un nome da cui non si può prescindere. Per intenderci: nel 2022 Sirio è stato l’album più ascoltato in Italia, nel 2023 Cenere è stata la canzone con più stream. Se inventassero il disco di vibranio lui ne avrebbe vinto uno. A differenza di altri colleghi, sia della sua generazione che di quelle successive, la sua ascesa all’olimpo è stata graduale, organica si direbbe se l’artista fosse (solo) un prodotto di Instagram. Due album – Zzala del 2017 e Re Mida del 2019 – “confinati” alla bolla di un pubblico (per quanto foltissimo) di giovani e giovanissimi amanti del rap in italiano, poi il botto vero con Sirio e gli abbracci di zia Mara e del pubblico nazionalpopolare con il trionfo di Sanremo.
Inevitabile che l’annuncio di una nuova uscita generasse attese e pretese enormi da parte dei fan e dei commentatori on e offline. “L’album della maturità” di solito si dice in questi casi: tra tante definizioni demenziali una delle più idiote. Però è vero che di sicuro questo nuovo volume farà una quantità di ascolti spaventosi e quindi tutti (soprattutto chi fa il mio mestiere e non può più permettersi di ascoltare Manu Chao in santa pace) si troveranno prima o poi ad averci a che fare. Quindi, maturità (che per altro Lazza non ha preso, come l’attuale ministro della Cultura Giuli) o meno, Locura, uscito oggi per Island, è un disco importantissimo.
Che però sente eccome il peso delle aspettative, come direbbero altri due suoi colleghi. Partiamo da qui nell’analizzare i 58 minuti diLocura, che mentre scrivo probabilmente avranno già più stream dell’intera discografia dei Mano Negra. Non è giusto buttarle tutte addosso a un ragazzo di 30 anni al suo quarto disco. E però quelle aspettative ci sono, anzi sono il centro attorno a cui l’intero progetto gravita.
Il disco è una sorta di concept (no, non è vero) attorno al tema del successo. “Questo sono io, non importa che sia su un palco, al parco con il mio cane o semplicemente a farmi i ca**i miei in giro per la città che mi ha cresciuto e che da troppo tempo mi sembra di non poter più conoscere. Sono stati anni incredibili, ho sempre sognato tutto questo, o meglio quasi tutto. ‘Ma chi ti credi di essere, perché non ti fai la foto?’ mi dicono, senza capire che i ricordi dovrebbero crearseli con la mia musica, con le parole che ho scritto, mica con la mia faccia” dice Lazza nel presentare il disco, spiegando il motivo di tanta “rabbia” che si può scorgere tra le 18 tracce dell’album.
Così, alla fine, contrappasso di tempi estremamente munifici eppure altrettanto ingenerosi, è proprio la recente consacrazione del Re Mida a rendere questo disco da molti punti di vista non sufficiente. Intendiamoci, il rapper milanese è uno bravo come pochi e forse nessun altro a fare questa cosa, non mi può smentire chiunque lo abbia visto dal vivo, chi lo ha sentito cantare (per davvero) e suonare il piano (per davvero, anche se Rocco Tanica non ci crede). Tecnicamente – come in un famoso quadro di Goya, citato in una (troppo) ambiziosa cover – Lazza se li mangia tutti o quasi quelli che ci sono in giro. E il disco lo conferma. La scrittura rimane fluida, il flow anche (può piacere o no, per me con un po’ meno di effetti sarebbe più godibile), le molte parti cantate risultano più credibili che quelle di quasi tutti i compagni di gioco.
Ci sono però anche cose che non tornano. I beat sono ripetitivi, senza guizzi, il suono risulta ancora dopo il secondo ascolto piallato. Al resto contribuiscono le atmosfere cupe di un disco che ruota tutto attorno a un concetto: anche noi ricchi piangiamo. Ogni incastro (alcuni ottimi, ma questo non è affatto una novità) porta lì: il successo è un’arma a doppio taglio, la gente pensa di conoscermi solo perché mi ascolta o vede in tv ma non sa cosa provo. Legittimo pensarlo e pure cantarlo, magari non per 18 tracce, che suonano un po’ troppo artificiali.
Più volte ci siamo trovati a scrivere che il tripudio del rap stava “distruggendo” dei dischi. Un caso è quello di Geolier, un fuoriclasse assoluto, il cui ultimo lavoro è pieno di pezzi clamorosi, se non che il livello si abbassa sistematicamente con i feat., che suonano in alcuni casi come “aggiustati” per questioni discografiche, senza però la capacità di aggiungere nulla al progetto artistico. Anzi, smorandone e di molto la grande intensità. Per Lazza è il contrario: i feat., i soliti, inevitabili e bravissimi nomi, pur senza brillare nella maggior parte dei casi suonano come dei piccoli e salvifici cambi di ritmo in un prodotto altrimenti abbastanza piatto. Ok, non è il caso della Pausini, ma di certo Ghali e Kid Yugi alzano il livello.
C’è un altro elemento che vale la pena aggiungere, e che si collega al tema delle aspettative. Mi è capitato di leggere i commenti ai vari (a conferma della grande attesa attorno al disco) post che Esse Magazine, la realtà di riferimento per questo genere musicale, ha dedicato a Locura. Al di là di alcuni commenti tranchant che lasciano il tempo che trovano e dell’immancabile umorismo internettiano (ci sono grandi perle, con bersaglio costante il producer Drillionaire, paragonato persino all’allenatore milanista Pioli), il livello delle “analisi” di molti utenti sul disco è da “capiscers”, i ragionamenti, condivisili o meno, sono da persone ingaggiate ma anche preparate.
Chi dice che questa è roba da 15enni (di certo una parte importante del pubblico di Lazza, e per altro non c’è nulla di male) sbaglia. Attorno al rap italiano si è formata una community di ascoltatori forti, che non è vero che si sorbiscono qualsiasi cosa, semplici fanboy di questo o quel personaggio (e non artista). Le aspettative derivano anche da questo. È un bene per il movimento e una sfida per tutti.
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L’articolo Il problema del disco di Lazza è competere con le aspettative di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2024-09-20 14:44:00