il dynamic pricing per i concerti è un’orrenda normalità

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Per fare scoppiare il brufolone ci volevano gli Oasis. E così, nel bel mezzo (altre date vengono aggiunte man mano, poi arriverà il momento del world tour) della riffa per i biglietti della loro reunion, tutti si sono accorti che il dynamic pricing è qualcosa di molto simile a una truffa legalizzata. La storia è abbastanza nota. Magari siete pure tra quei10 milioni (what?!) di persone che nel mondo si sono inserite nella coda virtuale per cercare di accaparrarsi un ticket per la storia. Già di per sé un’esperienza abbastanza frustrante, fatta di malfunzionamenti della piattaforma, ore in attesa, test “fantozziano” su chi sia stato il primo batterista della band e sveglia notturna per chi vive col fuso orario sbagliato. Molti dei fortunati (pare 1,4 milioni per il momento, o giù di lì) i cui nomi sono stati estratti per una delle date del tour britannico dei fratelli Gallagher nel 2025, hanno poi scoperto di non essere del tutto tali.

I biglietti prenotati, infatti, in molti casi costavano più del doppio di quanto richiesto in un primo momento. La vicenda è stata raccontata molto bene dal Guardian, secondo cui numerosi utenti si sono ritrovati con il prezzo che è cambiato da meno di 150 a più di 350 sterline. Com’è possibile? Effetto del Dynamic Pricing optato per questo tour (come per molti altri) da Ticketmaster, colosso che gestisce la vendita di biglietti in tutto il mondo, un sistema che cambia le “regole del gioco” in corsa per gli acquisti online. Bisogna poterselo permettere, ed è decisamente questo il caso. Dopo lunga attesa e grandi aspettative scopri di aver “vinto” un biglietto, solo che costa molto di più di quello che ti avevano detto. Che fai, lo lasci lì? Tanto qualcuno disposto a spendere quei soldi si trova sicuro, vista la coda chilometrica di persone sparpagliate a ogni angolo del globo. Mica male per un meccanismo che, a detta dei promotori, serve anzitutto per “disincentivare il bagarinaggio”. Nel senso che il bagarinaggio ora lo fanno loro (e comunque sui circuiti di seconday ticketing ci sono biglietti a migliaia di euro). 

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La faccenda è tutt’altro che nuova. Un annetto fa era finito nel ciclone Bruce Springsteen, in passato era toccato a Taylor Swift, Drake, Paul McCartney ed Harry Styles. L’eccezionalità della reunion degli Oasis, la visibilità planetaria di questo tour e quel loro afflato da working class heroes, però, hanno portato la vicenda su un altro livello. Così questa volta, almeno a parole, si è deciso di intervenire. 

Molti fan hanno presentato ricorso. L’antitrust (o qualcosa di simile) del Regno Unito ha parlato di “mancanza di equità e trasparenza verso i consumatori”, cui sarebbero mancate informazioni chiare sulla transazione. Poi è toccato alla Commissione Europea, che starebbe verificando se questa pratica non violi le leggi comunitarie. O meglio, il dynamic pricing non è illegale di per sè. La scorrettezza, spiegano fonti giornalistiche, starebbe nel momento in cui il prezzo di un prodotto viene aumentato dopo che il consumatore ha inserito il biglietto nel carrello online. 

E gli “accusati”? Il comunicato ufficiale della band inizia così: “Deve essere chiaro che gli Oasis lasciano le decisioni su come vendere i biglietti e a che prezzo ai loro promoter e management. Non siamo mai stati conoscenza che il dynamic pricing sarebbe stato utilizzato”. Ticketmaster, che non ha grandi vie di fuga, si gioca il classico “così fan tutti”. È una pratica legale e diffusa, hanno spiegato, utilizzata sistematicamente e da anni per camere d’hotel e viaggi, quando la richiesta è più alta. 

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Ora usiamo un paradosso, che non è nemmeno troppo tale. Un fan italiano degli Oasis – magari luiha “trovato” un biglietto per Dublino. Il prezzo gli è raddoppiato in corsa, perché era “dinamico” ma vabbé, quand’è che ricapita… Non è un tipo molto previdente e quindi non ha preso subito il volo, tanto con le low cost un posto per l’Irlanda vuoi che non si trovi? In quei giorni in città, però, ci sono decine di migliaia di fan degli Oasis. Quindi la compagnia aerea ha aumentato i costi, il prezzo sale. Bisogna trovare da dormire, quindi consulta Booking e poi Airbnb: hotel oppure appartamento privato, va bene tutto. Indovinate un po’? Rimangono poche disponibilità, a prezzi stellari. Risultato: forse la prossima volta rimarrà a casa e andrà a sentire Van de Sfros a Malnate. 

Tutto questo ha un nome, si chiama Revenue Management e sta prendendo sempre più piede e in settori sempre diversi. È un’estrema ratio del principio della domanda e dell’offerta su cui tutto quanto il capitalismo si basa sin dalla sua formulazione teorica. A renderlo possibile – oltre alla nuova creatura “mitologica” dell’estate: l’overtourism – gli strumenti di calcolo digitale e algoritmi sempre più precisi in grado di dire a chi gestisce l’offerta (in parte anche a chi “fa la domanda”, ma non è difficile capire chi è l’anello debole della catena) fino a che punto può spingersi per massimizzare i profitti.

È una tecnica molto sofisticata che si avvale dei più importanti strumenti tecnologici, ma che come principio non si distanzia troppo dai ragionamenti che fa ilpusher a bordo strada. C’è concorrenza? Me ne sto buonino, e cerco di portarti a me con un’offerta ragionevole. Questo prodotto ce l’ho solo io? Ti levo tutti i soldi di tasca. 

Tutto questo, oggi, è considerato una scienza imprescindibile per chi vuole stare sul mercato, per lo meno con quelli connessi con il turismo, settore che fa “ballare parecchia fresca” e crea pochissimo valore aggiunto. Ci sono corsi di specializzazione da parte dei più importanti istituti economici italiani sul revenue managment, fioriscono ogni mese nuovi consulenti,software ad hoc, pagine e siti che svelano i segreti per massimizzare le entrate e non lasciare camere, sedili o pit vuoti (ma se anche dovesse succedere amen, l’attivo è comunque garantito dai sovapprezzi).

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Ma c’è anche chi ci “guadagna”, la replica inevitabile. Vero, chi è previdente e si muove prima viene “premiato” con un prezzo più basso dalle piattaforme (che quel prezzo lo stabiliscono, d’altra parte). Qua sta proprio la grande “fesseria” dietro all’affaire Oasis. In questo caso non c’era nessun bisogno di dynamic pricing: che la richiesta sarebbe stata abnorme, visto il clamore della reunion e i milioni di vedove inconsolabili dopo 15 anni di scazzi in mondovisione, era più che scontato. Bastava dire da subito “i biglietti partono da 350 sterline (magari qualcuno di meno, dai…)”. Qualcuno avrebbe storto il naso, si sarebbe gridato ai prezzi folli, ma i patti sarebbero stati chiari dall’inizio. E i sold out sarebbero arrivati lo stesso, garantito. Invece la cosa è stata gestita malissimo.

In ogni caso, dove sta esattamente l’equità nel fare pagare meno un ristretto numero di utenti e caricare spese extra fino all’esasperazione sugli altri? Colpevoli di cosa, di essersi mossi tardi? E in base a quali parametri, poi? Saremo antichi, anticiclici, magari un po’ populisti e pauperisti, ma non si stava meglio quandosi pagava tutti uguali? Più prevendita, ovviamente. 


L’articolo Il dynamic pricing per i concerti è un’orrenda normalità di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2024-09-05 10:19:00



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