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Intervista Transfermarkt

©IMAGO
Al lavoro per rientrare in campo dopo la contusione alla coscia che non gli ha permesso di rispondere alla chiamata della Svizzera, Simon Sohm ha trovato il tempo di scambiare due chiacchiere con Trasfermarkt. Argomenti: la Nazionale, i suoi modelli di riferimento, gli allenatori che lo hanno fatto crescere e, ovviamente, il Parma.
“Avere avuto successo al Parma è una sorta di rivincita. Quando ho scelto di venire qui ho ascoltato molte critiche, voci sul fatto che avrei fallito. Io, però, volevo davvero affrontare quella sfida, sicuro che se ce l’avessi fatta, avrei potuto ripetermi ovunque”, afferma con orgoglio il centrocampista, in Italia dal 2020, quando era solo un diciannovenne di belle speranze.
Scetticismo di vecchia data, quando in pochi erano convinti delle sue qualità. Fra questi di sicuro Ludovic Magnin, colui che lo fece debuttare prima in Promotion League (terzo livello svizzero, nda) e poi in prima squadra, sempre con la maglia dello Zurigo. “Gli sono molto grato. Mi ha trasmesso fiducia, fondamentale per un giovane qual ero all’epoca. L’ho sempre ammirato. Da lui ho ricevuto gli strumenti per affrontare il professionismo, sia sportivi che mentali.

Simon Sohm ai tempi dello Zurigo
Un sostegno e una dottrina diversa che Sohm ha ricevuto da un altro tecnico decisivo per la sua carriera: Fabio Pecchia.
“Rimasi sorpreso quando mi disse di vedermi in posizione più avanzata.
Non mi vedevo in quel ruolo ma con il passare delle gare mi sentivo sempre più disinvolto con i nuovi compiti e questo ha dato una spinta alle mie prestazioni.
Mi sento più duttile ora. Una cosa è certa: non diventerò come Ronaldinho (ride, nda)”.
Garanzie e libertà, certo, ma anche tanta voglia di migliorarsi, tradotte in sessioni di allenamento extra, in analisi degli errori e in attenzione a quanto potessero offrirgli i professionisti a lui vicini. “Ho lavorato intensamente con lo staff tecnico e atletico, soprattutto sugli aspetti negativi del mio gioco, quelli che influenzavano le prestazioni e non mi rendevano costante. Poi ho appreso tanto da due compagni in particolare: Bruno Alves e Gianluigi Buffon.
Dal primo ho rubato la mentalità vincente. Il primo ad arrivare al campo, l’ultimo ad andarsene. […] Gigi, invece, è stato il giocatore più gentile e disponibile che abbia incontrato in carriera finora. Piedi sempre per terra, estremamente simpatico. Ha vinto tutto nel calcio, è un’icona assoluta e potrebbe essere arrogante, mentre è l’esatto contrario. Prima dell’Europeo U21, mi scrisse a mano una lettera motivazionale. Le sue parole mi toccarono profondamente”, racconta.
Sohm e la Svizzera
Dall’Under 15
Al debutto in Nazionale maggiore
Per il resto, i modelli di gioco li ha presi altrove. In primis da Yaya Touré. “Il mio idolo d’infanzia, non il classico 6”. Paragoni altisonanti che non fanno perdere di vista gli obbiettivi reali. “Mi vedo come un giocatore ibrido, un tuttofare, uno che interpreta le due fasi. Da un lato voglio essere d’aiuto ai miei compagni, dall’altro voglio far valere la mia presenza. Gli avversari devono sapere in anticipo che sarò un cliente scomodo. A Parma sono cresciuto, anche fisicamente”.

Un fatto non scontato viste le difficoltà iniziali. “Scelsi Parma perché avevano mostrato un interessamento reale, mostrandomi come mi vedevano e cosa avevano in mente per me. Mi hanno convinto subito anche se c’erano delle offerte dalla Germania in quel momento. Il primo periodo non fu semplice. Ero completamente solo, la mia famiglia era lontana. C’erano le limitazioni dettate dalla pandemia, non parlavo la lingua e questo non ha giovato all’ambientamento. Poi eravamo indietro in classifica, l’atmosfera in squadra e intorno alla squadra non era gioviale”.
“Anche io non stavo rendendo al meglio e forse, se ci fosse stata un’offerta, avrei potuto cambiare club ma non mi sentivo di dire già addio. Il mio percorso da calciatore mi ha reso più maturo e riflessivo. Essere responsabili significa anche ignorare gli aspetti negativi, le critiche e le pressioni, e dare tutto, per i compagni, i tifosi e il club nei 90 minuti. Del resto, così posso continuare a fare la cosa più bella del mondo”, sorride.
E la stessa faccia distesa la mostra nel parlare della Svizzera. “Già essere convocato è la conferma della strada che ho percorso, anche se nulla è ancora fatto. […] Vorrei avere un ruolo centrale in Nazionale in futuro. Il mio obiettivo è anche quello di giocare la Champions. Se non avverrà questa estate, mi auguro in quella successiva”, dice, legato com’è ai Ducali da un contratto fino al 2027.
Intervista di Henrik Stadnischenko
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