Il 18 novembre del 1989, sulla statale jonica 106, muore Donato Bergamini. 27 anni, calciatore del Cosenza, viene trovato sul ciglio della strada a pochi passi da un camion che lo avrebbe travolto. Ai tempi gli inquirenti avevano valutato il caso come un suicidio. La zona è quella di Roseto Capo Spulico, ma la realtà è che dopo 35 anni viene classificato come un omicidio.
La sorella Donata, sin dall’inizio, si batte per la verità. Perché è convinta che suo fratello non avesse voglia di farla finita. La fidanzata del calciatore, Isabella Internò, fu l’unica testimone diretta della situazione. La relazione, durata tre anni, finì a causa di un aborto (a Londra) perché non c’era matrimonio fra i due e nella Calabria degli anni ottanta questo sarebbe stato uno scandalo. “In macchina stavamo discutendo piuttosto animatamente – disse l’ex fidanzata di Denis – poi è sceso e dopo aver farfugliato qualche frase si è tuffato sotto un camion in transito”.
Dopo diverse perizie e la riesumazione del corpo nel 2017, si scoprì che Bergamini fu assassinato verosimilmente con una busta di plastica, dopo che il camion lo sormontasse, come una messinscena. Così Internò, a giudizio, viene condannata a 16 anni perché mandate dell’omicidio. Due giorni prima della morte di Bergamini, parlando con un’amica, aveva detto: “È un uomo morto, se non torna con me lo faccio ammazzare. Lui mi ha disonorata, deve tornare da me perché io lo faccio ammazzare. È un uomo morto. Tu non puoi capire perché sei del Nord”.


