Weekly AI news è la nostra rassegna settimanale sulle notizie più rilevanti legate al mondo dell’intelligenza artificiale.
Se c’è una cosa che contraddistingue l’intelligenza artificiale è la sua tendenza a creare dicotomie. Gli scettici da una parte, gli entusiasti dall’altra; gli ottimisti da una parte, i catastrofisti dall’altra e così via. L’ultimo dualismo rilevante riguarda, da una parte, coloro che ritengono che l’AI sia arrivata alla vetta della sua capacità qualitativa, almeno sul breve periodo. Dall’altra parte ci sono soggetti (vale a dire, le big tech) che non fanno che esaltare generiche potenzialità pressoché infinite del mercato e dei miglioramenti, richiamando entusiasmo per nuovi investimenti. Sembra davvero che l’AI viaggi a due velocità diverse.
Almeno questa settimana, pare che i fatti diano ragione ai cauti: ci sono sempre più prove che i modelli AI siano al massimo delle loro potenzialità e sembra improbabile che possano migliorare in modo considerevole nel corso del prossimo anno o più. Quella raggiunta è probabilmente la migliore tecnologia AI possibile con i mezzi oggi a nostra disposizione. E ancora non è stata implementata con successo nei processi lavorativi. Continuare a spingere per investimenti milionari nella speranza che da questi emerga l’AI “definitiva” (che probabilmente non esiste) è una deriva pericolosa.
Una prova di questo scenario è diffusa dalla testata The Information. Il futuro modello di punta di OpenAI, Orion (annunciato come il prossimo gradino verso la fantascienza), mostrerebbe solo modesti miglioramenti rispetto alla precedente versione, GPT-4. Il balzo sarà anzi inferiore rispetto a quello a cui abbiamo già assistito nel passaggio da GPT-3 a GPT-4.
Pare, insomma, che siamo vicini a quel che lo scienziato cognitivo Gary Marcus definisce “punto di rendimento decrescente”, un vertice oltre il quale non si può andare. Marcus ha rilanciato i suoi avvertimenti in proposito (due anni fa sbeffeggiati da quasi tutti, da Altman a Musk fino a Brockman) pochi giorni fa dal suo blog. Lo scienziato ha fatto eco alle dichiarazioni del capitalista di rischio Marc Andreesen, che in un podcast ha dichiarato “stiamo aumentando le GPU al solito ritmo (di sempre, ndr), ma non ne stiamo ottenendo alcun miglioramento intelligente“. Insomma, ricerche di mercato, investimenti, propositi e anche innovazione sui microprocessori viaggiano, ma i modelli non riescono a progredire.
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È il momento che le aziende AI posino un attimo i loro strumenti di lavoro, facciano un passo indietro e osservino quanto ottenuto negli ultimi due anni. Aumentare gli investimenti e fissare nuovi obiettivi forse sono esigenze che possono essere messe in pausa. La cosa più saggia sarebbe iniziare a trovare dei metodi reali per applicare l’AI per come è già.
Una parte dei protagonisti della rivoluzione AI non accetta o non riconosce questa visione.
I piani alti di ASML, ad esempio, hanno di recente enfatizzato la crescita economica all’insegna del boom artificiale. Il CEO Christophe Fouquet, all’Investor Day dell’azienda a Veldhoven nei Paesi Bassi, ha dichiarato di attendere a braccia aperte una curva esponenziale fino al 2030. Non ha però fatto cenno alla possibilità che siamo di fronte al più grande rischio speculativo della storia.
I mercati si sono inoltre galvanizzati perché Altman ha parlato (ancora) di AGI al podcast di Gary Tan, di Y Combinator.
Altman è sembrato associare la mitologica AI Generale super intelligente al 2025. Tuttavia il patron di OpenAI non intendeva affermare che il prossimo sarà l’anno in cui vedremo l’AGI, quanto che nel 2025 sarà felice di poter continuare a lavorare sodo per la sua creazione. Il padre di ChatGPT ultimamente ha abbassato il tiro riguardo alle conquiste sovrannaturali della tecnologia, preferendo sperimentare nuove formule meno enfatiche (come l’annunciato Operator, l’AI che controlla il computer, in risposta al medesimo progetto di Anthropic). Ma se Altman è in fase riflessiva, gli osservatori (e i CEO del tech) preferiscono ancora lasciarsi illudere da prospettive fantascientifiche. Poco conta il permanere di quella nota caratteristica dell’AI, l’incapacità di generare vere entrate.
L’ultimo indicatore in tal senso arriva da Perplexity che, nel suo viaggio per diventare il perfetto trait d’union tra AI e motore di ricerca, decide di inserire le pubblicità direttamente nelle risposte del chatbot. Gli annunci pubblicitari saranno proposti a breve agli utenti negli USA. L’azienda non può prescindere da questa scelta un po’ novecentesca, il suo servizio non ripaga l’investimento. E c’è da scommettere che presto sarà imitata da molti colleghi.
Pubblicità iniettata direttamente negli output: come sempre, gli enti antitrust del mondo intero avranno di che preoccuparsi. E a tal proposito giunge un segnale importante dall’Europa. L’UE multa Meta per quasi ottocento milioni di euro per concorrenza sleale del servizio Facebook Marketplace. La multa c’entra solo marginalmente con l’AI, tuttavia non sembra un caso che la sanzione arrivi proprio all’indomani dell’incoronazione di Elon Musk ai piani alti della politica americana. L’Europa lancia indirettamente un messaggio a lui (di recente accusato di disinformazione perfino dalla sua stessa AI) e a tutti i protagonisti dello strapotere tech americano, ora rafforzato anche da una legittimazione politica.
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Con perfetto sincronismo, nelle stesse ore l’UE pubblica la prima bozza del Codice di condotta generale per l’intelligenza artificiale, redatto da esperti indipendenti, una sorta di spin-off dell’AI Act. Una serie di messaggi eloquenti ai protagonisti del nuovo assetto dell’universo artificiale USA.
L’Unione Europea non spiccherà per innovazione ma certamente sembra aver compreso che la spinta propulsiva del tech americano rischia di creare un’onda anomala che può seppellire la privacy, i dati e far scoppiare una bolla finanziaria. Forse la nuova dicotomia destinata ad accentuarsi è quella tra USA e Europa.