C’è un altro dettaglio che spiega la tempistica con cui è stato pubblicato il cahiers des doléances. Il primo luglio la Danimarca ha avviato il suo semestre di presidenza del Consiglio dell’Unione europea. E ha intenzione di dire la sua sull’applicazione del regolamento sull’intelligenza artificiale, facendosi portavoce delle istanze dei paesi nordici. Non a caso, la lettera per una pausa dell’AI Act richiama “l’esempio della Svezia, il cui primo ministro, Ulf Kristersson, ha già richiesto una pausa in tal senso”. Tra gli stessi 33 firmatari dell’appello, 13 rappresentano aziende con sede nei Nordics.
I fronti della battaglia sull’AI Act
Per Bruxelles si apre un secondo fronte della battaglia per il futuro dell’AI Act. Il primo, come noto, è quello degli Stati Uniti. I colossi tecnologici americani hanno gettato la maschera, da quando Donald Trump è tornato alla Casa Bianca. E siccome le prime applicazioni del regolamento mettono nel mirino i cosiddetti GPAI, ossia i modelli che sono in grado di svolgere compiti diversi (come creare un testo o un’immagine) e che sono stati allenati attraverso un’enorme mole di dati non categorizzati, è chiaro che GPT-4 di OpenAI, Gemini di Google, LaMDA in casa Meta si sentano chiamati in causa.
Ora occorre gestire il dissenso di startup e fondi di investimento europeo. Tra i firmatari della lettera vi sono Tomas Okmanas, cofondatore di Nord Security (la società lituana del servizio di virtual private network NordVPN, etichettata come unicorno dopo una valutazione di 1,6 miliardi di euro) e di Nexos.ai, una piattaforma che aiuta le imprese a mettere in produzione i propri progetti di AI, e Fredrik Hjelm, ad di Voi, startup di micromobilità per la prenotazione di monopattini. Così come i leader di società con decenni di esperienza alle spalle, come Harold Goddijn e Corinne Vigreux, i fondatori di TomTom (sì, quella dei navigatori). O una sfilza di rappresentanti dei fondi di investimenti. E ancora Steffen Tjerrild, tra i cofondatori di Synthesia, startup inglese di sistemi di AI per la produzione video considerata una delle più importanti nel settore a livello continentale.
“Synthesia è grande abbastanza per avere a che fare con l’AI Office – spiega a Wired Alexandru Voica, responsabile per gli affari istituzionali della startup – ma una startup nata uno, due anni fa, che non abbia uno specialista di politiche o un legale internamente, fa fatica. Erano state promesse flessibilità e linee guida semplici per le startup europee, che non si sono viste nelle bozze. Come fa una società ad adeguarsi in mancanza di chiarezza? Questo rischia di rallentare la capacità europea di competere con Cina e Stati Uniti”. Per Voica, se alcune startup si fanno sentire adesso e non prima, mentre l’AI Act era in discussione, “è perché sono nate dopo, allora non esistevano”.