Il primo passo che il team ha dovuto fare è stato quello di convincere loro stessi e i musicisti. Nei concerti di questo tipo l’orchestra è costretta a seguire il metronomo per rimanere sincronizzata con le immagini, un lavoro faticoso e poco divertente dal punto di vista musicale, in cui i musicisti diventano quasi un accessorio, pur eseguendo brani straordinari di Morricone, Hans Zimmer o John Williams. “Con la nostra idea, invece, abbiamo scelto di ribaltare il paradigma: non più la musica che segue il film, ma un film che segue la musica. La risposta è stata sorprendentemente positiva: circa l’85% dei musicisti ha aderito con entusiasmo, cogliendo l’opportunità di uscire dalla comfort zone e sperimentare un linguaggio digitale nuovo, pur sapendo che c’è ancora molto da perfezionare”, ci ha spiegato. Al centro, comunque, rimane sempre l’interprete: il fattore umano è ciò che dà senso a tutto. La tecnologia è uno strumento di potenziamento, mai di sostituzione ma “L’interazione con il pubblico nasce dalle emozioni dell’interprete e noi cerchiamo, attraverso gli strumenti digitali, di amplificarne l’impatto senza oscurarlo”, ci racconta Seco.
Il processo creativo parte spesso dall’immaginario dei musicisti: storie, immagini, sensazioni che vengono condivise con noi e tradotte in una poetica visiva. Da lì comincia un percorso che porta quelle suggestioni sullo schermo, senza un esito predefinito: la base c’è, ma lo sviluppo è generativo e prende forma in tempo reale.
A dare ulteriore profondità è la collaborazione con artisti che lavorano con l’intelligenza artificiale: ognuno porta il proprio stile e contribuisce a mantenere coerenza e continuità nelle immagini. È come avere migliaia di tasselli pronti, che il sistema ricombina ogni volta in base al mood e alle sfumature dell’orchestra. Così, lo spettacolo visto a Venezia non sarà mai lo stesso che si vedrà a Milano.
Una tecnologia che evolve settimana dopo settimana
“Abbiamo un lag di quattro millesimi di secondo, quindi è praticamente la distanza che c’è tra me e un’altra persona in un quartetto d’archi, ed è quel lasso di tempo tra il momento in cui riceve il segnale e riesce a processarlo. Questo è un aspetto molto interessante: la velocità con cui riesce a lavorare e il fatto che sia un tipo di riconoscimento molto specifico e dettagliato”. Sono questi i numeri che detaglia in modo minuzioso il direttore d’orchestra Marco Seco.