Gli ospiti del Wired Next Fest Trentino 2025 sulla democrazia americana ai tempi dell’AI: “

Al Wired Next Fest Trentino 2025, in corso a Rovereto dal 3 al 5 ottobre, si è discusso di come la più antica democrazia del mondo stia vivendo una crisi che rischia di essere sottovalutata. L’aspetto surreale di molti comportamenti del presidente Donald Trump, infatti, spesso distoglie l’attenzione dalla reale gravità della situazione. “Qui non si tratta di essere di destra o di sinistra, ma di raccontare la metamorfosi preoccupante della democrazia americana”, ha osservato Marilisa Palumbo, caporedattrice Esteri del Corriere della Sera. Secondo la giornalista stiamo assistendo a quello che alcuni hanno definito una “presidenza dei meme”, dove la comunicazione prevale sulla sostanza. Ma “Siamo talmente abituati al peggio che non ci accorgiamo di vivere in uno scenario alla Black Mirror”, ha aggiunto Mariangela Pira, giornalista di Sky Tg24 specializzata in mercati finanziari. I problemi in realtà sono molto più profondi e riguardano anche le istituzioni federali americane: la Federal Reserve, banca centrale che dovrebbe operare in autonomia rispetto alla politica, è oggi sotto crescenti pressioni, al punto da mettere in discussione la sua autorevolezza.

L’opposizione democratica

La crisi americana è quanto mai evidente se si guarda a come si sta muovendo il Partito Democratico, in piena fase di scontento profondo dopo la sconfitta di Kamala Harris alle ultime elezioni. I sondaggi mostrano che l’elettorato è sempre più insoddisfatto dei propri leader e della direzione del partito. Ecco perché Daniele Angrisani, fondatore di Focus America, ha avvertito che “alle prossime primarie democratiche ci sarà un fortissimo senso anti-establishment”. Angrisani traccia un parallelismo tra la situazione dei Democratici di oggi con quella dei Repubblicani nel 2014, quando la base del partito si ribellò contro i leader tradizionali aprendo la strada a candidati outsider. Quella rabbia diffusa portò Donald Trump, imprenditore senza esperienza politica, alla vittoria nelle primarie del 2016 contro i favoriti dell’establishment Repubblicano e successivamente alla Casa Bianca. La stessa dinamica potrebbe ripetersi tra i Democratici.

In effetti tra le fila dei Democratici stanno emergendo figure diverse che tentano approcci differenti. Gavin Newsom, governatore della California, ha adottato uno stile comunicativo aggressivo simile a quello dell’attuale presidente, usando i social media per attacchi diretti. Pete Buttigieg, segretario ai Trasporti nel governo Biden, cerca di rinnovare il linguaggio democratico includendo riferimenti religiosi, un tema importante per molti elettori americani. Forse però il vero astro nascente in campo Democratico è Zohran Mamdani, candidato sindaco di New York, che prova a rappresenta un’altra strada. Mamdani ha basato la campagna elettorale su problemi concreti della vita quotidiana come affitti, trasporti e sanità, quelle che in inglese vengono chiamate bread and butter issues, le questioni del pane e burro che toccano direttamente le tasche dei cittadini. “Sembra tornare nel Partito Democratico una spinta a un populismo all’antica”, ha osservato Mattia Diletti, professore alla Sapienza Università di Roma. Il cambiamento sta nell’identificazione del nemico: fino a ora i democratici si vedevano come difensori delle istituzioni e del progresso contro i Repubblicani conservatori, mentre ora puntano il dito contro la nuova coalizione tra potere politico e big tech, quella stessa concentrazione oligarchica che sta ridefinendo gli equilibri della democrazia americana.

L’America e i tecno-oligarchi

Secondo Alessandro Aresu, scrittore e consulente, consigliere scientifico di Limes il vero spartiacque che ha favorito l’ascesa delle big tech nella politica statunitense risale al 2010, con la sentenza Citizens United della Corte Suprema. La decisione ha equiparato il finanziamento delle campagne elettorali alla libertà di espressione, abolendo di fatto i limiti alle donazioni private. Da allora, un flusso di denaro senza precedenti ha invaso la politica americana, consentendo a miliardari e grandi corporation di esercitare un’influenza diretta sulle elezioni. “Oggi i pesi e contrappesi della democrazia americana non riguardano più le istituzioni, ma i contrasti tra oligarchi come Bezos e Musk, portatori di interessi divergenti”, ha osservato Aresu.

Loretta Napoleoni, economista e saggista, un altro fattore che ha portato la concentrazione di potere nella Silicon Valley risale alla crisi finanziaria del 2008. L’economista ha ricostruito come i fondi pubblici destinati al salvataggio delle banche siano finiti nelle mani delle aziende tecnologiche attraverso investimenti e politiche monetarie espansive. Si è così formato un sistema oligarchico controllato da sette grandi società, tra cui Apple, Microsoft, Google, Amazon e Meta, che hanno dominato i mercati finanziari per anni. “Il problema è quello che fanno per la società, questi individui sono mossi solamente dal profitto”, ha osservato Napoleoni.

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