Fare innovazione farmaceutica nel nostro paese: la strategia di Bayer a 125 anni dall'arrivo in Italia

Che ruolo gioca l’Italia all’interno di una realtà globale come Bayer? Vista la sua lunga esperienza all’estero in diversi paesi chiave per l’azienda, quali punti di forza possiamo far valere come sistema paese?

“Anzitutto si coglie benissimo quanto l’Italia sia un paese strategico per Bayer a livello globale: lo dimostra anche la presenza qui all’evento a Milano di Stefan Oelrich, Presidente di Bayer Pharma e di Efpia (la Federazione europea delle industrie e associazioni farmaceutiche). Questo posizionamento non nasce per caso, ma è il frutto della qualità del capitale umano presente in Italia. Abbiamo ricercatori, clinici e professionisti con competenze di altissimo livello, ma anche una cultura della flessibilità, della creatività e dell’ingegno che si dimostra particolarmente fertile quando si tratta di affrontare il cambiamento. L’Italia oggi è coinvolta in ben sette studi clinici di fase 1, un dato molto significativo se si pensa che fino a pochi anni fa era del tutto in questa fase così cruciale della pipeline di sviluppo.

“E poi c’è la capacità di reagire: basta pensare a come il nostro sito produttivo di Garbagnate sia riuscito, in appena due settimane, a riconvertire le linee per far fronte a un’emergenza internazionale legata alla fornitura di acido acetilsalicilico (cardioaspirina, ndr). Poi – certo – non mancano gli ostacoli, perché ci sono normative ormai secolari che sono anacronistiche e andrebbero aggiornate, così come procedure ancora troppo lente per consentire un accesso tempestivo all’innovazione. Ma c’è una forte volontà di cambiamento, sia a livello istituzionale sia nel settore industriale, e questo ci dà senz’altro fiducia”.

Negli ultimi anni avete introdotto un nuovo modello organizzativo: quali sono i principali cambiamenti rispetto al passato?

“Abbiamo deciso di abbandonare la struttura classica, gerarchico e suddivisa a silos per business unit, per abbracciare una struttura più flessibile e dinamica. Il nostro modello è definito DSO, acronimo di Dynamic Shared Ownership, e si basa sull’idea che ogni persona possa contribuire in modo attivo e trasversale alla realizzazione di progetti condivisi facendo leva sull’intelligenza collettiva. Le competenze sono organizzate in chapter – tra cui medical, accesso al mercato, marketing – che formano una sorta di casa professionale per la crescita individuale. Da lì, le persone partecipano a team progettuali temporanei, costruiti a partire da obiettivi concreti. Ogni 90 giorni ci fermiamo, valutiamo gli avanzamenti, ricalibriamo le priorità e ripartiamo.

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