L’alba dell’AI atomica e la rivoluzione sociale delle ‘macchine amorevoli’ | Weekly AI #128

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Weekly AI news è la nostra rassegna settimanale sulle notizie più rilevanti legate al mondo dell’intelligenza artificiale.

Per la prima volta dopo mesi in cui il panorama AI è parso un po’ incagliato tra innovazioni che riscuotono entusiasmi non esattamente a furor di popolo e cause internazionali sui dati, le big tech sembrano inaugurare l’inizio di una nuova fase. Il nuovo scenario che potrebbe letteralmente cambiare il pianeta in cui viviamo può essere chiamato a tutti gli effetti “AI nucleare”.

Se a giugno già OpenAI aveva preso la decisione di assicurarsi una futura fornitura di energia nucleare all’avanguardia firmando un contratto con la società Helion, ora anche altre compagnie annunciano progetti concreti in quella direzione. Le previsioni sul consumo di energia dell’AI sono in effetti implacabili: nell’ottica di una crescita, il trend attuale non può durare a lungo. Al tempo stesso è noto come il nucleare sia diventato la nuova speranza ecologista nell’ottica della sostenibilità. Sulla scia di questi elementi, Google annuncia la costruzione di sette mini reattori nucleari in collaborazione con Kairos Power che sosterranno la sua AI impedendole di prosciugare le risorse di città intere in un futuro non così lontano. Le fa eco Microsoft, finanziatrice di OpenAI, che intende riattivare la controversa centrale nucleare americana di Three Mile Island. In breve anche Amazon annuncia l’inizio del proprio nuclear dream e come Google firma accordi per la creazione di mini reattori modulari con ben tre aziende diverse.

La fretta delle big tech di abbracciare l’energia nucleare tradisce l’enorme ansia che circonda il futuro dell’AI dopo gli ultimi mesi. Poco conta come Google minimizzi le preoccupazioni raccontando l’entusiasmo del suo ultimo Cloud Summit di Londra: sia Big G che tutte le company tech sanno che il fallimento di un nuovo approvvigionamento energetico sancirà il fallimento dell’intelligenza artificiale stessa.

Il nuovo progetto atomico condiviso delle big tech risulta in effetti la strada più logica per evitare che le basi anche economiche dell’AI si sgretolino a pochi anni dalla loro fondazione. A confermare la concretezza di questo rischio sono le ultime difficoltà di ASML. La società di semiconduttori olandese crolla del 15% in borsa, tonfo che accerta nuovamente la debolezza finanziaria dell’AI.

Nemmeno questa settimana mancano comunque innovazioni che tentano di modificare le abitudini degli utenti. Su tutto spicca l’arrivo (solo negli USA) dell’atteso SearchGPT di OpenAI, motore di ricerca interno a ChatGPT annunciato qualche mese fa. Altman ha da sperare che funzioni meglio di quello di Google, che all’uscita scatenò alcune ilarità per risposte sorprendentemente assurde.

Intanto curiosamente abbondano più del solito studi interessanti su caratteristiche disparate dell’intelligenza artificiale.

I ricercatori di Apple, azienda la cui voce appare più equa di altre (non avendo AI proprie aperte al pubblico), pubblicano un interessante documento sui limiti del ragionamento matematico nei modelli linguistici di grandi dimensioni. Lo studio suggerisce che nell’affrontare collegamenti che l’intelligenza umana considererebbe logici, i modelli AI sono ancora in alto mare. Spesso i modelli forniscono risposte errate a causa di banalità.

Al tempo stesso però la capacità di incrociare dati diversi della tecnologia continua a regalare sorprese. Lo scienziato Chris Summerfield, ex DeepMind, propone un esperimento su un’AI che funga da mediatrice delle esigenze di gruppi umani complessi. Proponendo insomma soluzioni che facciano incontrare punti di vista e necessità di tante persone diverse, una potenziale rivoluzione del dibattito pubblico.

E le nuove ricerche AI non si limitano a supportare nuove forme di linguaggio esclusivamente umano. L’azienda no profit di Berkeley Earth Species Project annuncia un progetto per decodificare il linguaggio degli animali con l’AI, individuando corrispondenze di ogni tipologia e variazioni dei versi.

Un altro studio, svedese, torna sugli umani e analizza i bias nella rappresentazione di immagini di adolescenti da parte di Dall-E 3. I professori Gunhild Kvåle e Gustav Westberg scoprono che il generatore di immagini di OpenAI crea praticamente solo gruppi di ragazzi giovani, belli, in salute e felici. Insomma, idealizzati ma in fondo irrealistici. Lo studio suggerisce che forse esistono pregiudizi dell’AI figli di una cultura ‘pubblicitaria’ di alcune categorie umane, un problema di cui si dovrebbe parlare di più.

Più che i bias, a preoccupare la maggior parte delle persone sono soprattutto gli effetti sul lavoro. Un sondaggio americano rileva che il 96% dei lavoratori intervistati negli USA avverte lo stress da adattamento alla nuova tecnologia sul lavoro. Anche nel nostro Paese si presta attenzione al tema. Un rapporto della Banca d’Italia sugli effetti dell’AI nel lavoro suggerisce che la tecnologia colpirà prevalentemente i colletti bianchi e i settori dei servizi, specialmente nel Nord-Ovest del Paese. A rischio saranno specialmente occupazioni che fino ad oggi erano sembrate più al riparo dall’automatizzazione digitale. La sfida maggiore sarà fronteggiare un’ondata di ricollocamento in un panorama lavorativo molto statico come quello italiano.

Continuano a fronteggiarsi dunque catastrofici timori e opportunità inimmaginabili. Per orientarsi vale la pena dare una lettura al breve saggio sugli aspetti positivi dell’intelligenza artificiale diffuso gratuitamente dal fondatore e CEO di Anthropic Dario Amodei. Si chiama “Machines of loving grace” e non vuole essere una previsione quanto un’ispirazione.



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