Che cos’è l’Auto-Tune, quando si usa bene e come evitare di usarlo male

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Il viralissimo video di Fedez che stona dal vivo a causa di un problema all’Auto-Tune ha riacceso le polemiche. La questione è in realtà sempre la stessa: “I cantanti usano trucchetti per nascondere sotto al tappeto evidenti limiti di intonazione”. Un discorso decisamente anacronistico per il 2024 (conosciamo Auto-Tune da almeno 25 anni), che impone riflessioni importanti. La prima di queste è che il grande pubblico non sa davvero cos’è Auto-Tune e come (e perchè) questo viene utilizzato. O meglio: lo sa per grandi linee, condendo la propria conoscenza con una manciata di pregiudizi di vario tipo.

Prima di condannare o assolvere Fedez per quanto successo, è quindi importante chiarire una volta per tutte cos’è l’Auto-Tune, come funziona e perché tanti artisti lo usano.

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Che cos’è l’AutoTune? Breve storia del software che ha rivoluzionato la musica

Come ben suggerisce il nome, Auto-Tune è un software che corregge automaticamente l’intonazione della voce. In realtà la tecnologia nasce quasi per caso. Il suo creatore, Andy Hildebrand, lo sviluppa a partire datecnologie di analisi sismica, utilizzate per individuare giacimenti di petrolio. L’idea di applicare queste tecniche alla musica sembra strana, ma si rivela un’intuizione geniale.

Sul finire del 1996 la Antares Audio Technologies ne commercializza la prima versione, rivoluzionando il mondo delle produzioni musicali. Qui occorre una prima precisazione: Auto-Tune è il nome di uno specifico software proprietario, quindi è tecnicamente sbagliato chiamare Auto-Tune tutte le tecnologie di correzione vocale (come sarebbe sbagliato chiamare Coca Cola tutte le numerose bevande gasate gusto cola).

Inizialmente, l’Auto-Tune era pensato come strumento “invisibile” in studio di registrazione. In pratica doveva correggere piccoli difetti di intonazione, senza alterare troppo la voce, risultando quindi impercettibile. Ben presto però ci si rese conto che Auto-Tune poteva andare oltre la mera correzione vocale:il software poteva creare nuove sonorità.

Lo Cher-Effect

Il primo a intuire le potenzialità di Auto-Tune in ottica creativa fu Mark Taylor, produttore britannico che nel 1997 stava lavorando al disco che avrebbe dovuto rilanciare la carriera di Cher. Un giorno, durante una pausa dalle registrazioni dell’album, Taylor e Cher guardano in TV Andrew Roachford che utilizza insistentemente il vocoder durante la sua esibizione. A Taylor viene l’intuizione: si può esasperare Auto-Tune al punto da rendere la voce sintetica e robotica, proprio come Roachford stava facendo col vocoder. Nasce così Believe, destinata a diventare una delle canzoni più popolari di tutti gli anni ‘90. Non solo: la prima canzone a utilizzare AutoTune in ottica creativa.

Dopo l’uscita di Believe, nel 1998, tutti credettero che fosse stato utilizzato un classico vocoder, ma il suono era troppo sintetico per essere tale. In realtà a confondere le idee fu lo stesso Mark Taylor, per non rivelare al mondo il segreto della sua produzione. Ad ogni modo i critici musicali e la stampa di settore, in mancanza di informazioni concrete, cominciò a riferirsi a quel mistico effetto vocale col nome di “Cher Effect”.

“Ma una notizia un po’ originale non ha bisogno di alcun giornale”, cantava un genovese niente male. E infatti la verità venne a galla poco dopo, e il fenomeno AutoTune divenne caratteristica del neo-nato genere eurodisco, di cui gli Eiffel 65 divennero tra i massimi esponenti al grido di “I’m blue Da ba dee da ba di”

Come si usa “bene” l’Auto-Tune?

L’utilizzo corretto di Auto-Tune dipende direttamente dalla finalità per cui questo viene utilizzato. Se si decide di usare il software in studio per limare le piccole imprecisioni vocali, allora sarà necessario centellinarne l’utilizzo. In questo specifico caso è importante che la nota “steccata” non sia troppo distante da quella che si intendeva raggiungere, così che l’utilizzo del software non vada a causare l’effetto pitch (palesando quindi all’ascoltatore l’innaturalità della registrazione). C’è da dire che l’uso di Auto-Tune a scopo correttivo è molto raro nelle produzioni discografiche contemporanee. Al software di Antares si preferiscono alternative come Melodyne (di Celemony Software), che invece di correggere automaticamente la registrazione permette di “spostare a mano” la singola nota desiderata.

Se invece si decide di utilizzare Auto-Tune come effetto per rendere sintetica e innaturale la voce (come si fa nel mondo rap e trap, ad esempio), la metodologia di utilizzo è esattamente agli antipodi. In questo caso si vuole esasperare il pitch effect per rendere palese all’ascoltatore che la voce è stata trattata in modo massiccio. Questa scelta stilistica, per quanto possa far storcere il naso agli integralisti del bel canto, è spesso perfettamente coerente con le sonorità sintetiche ed elettroniche dei generi in questione. In pratica la voce diventa uno strumento all’interno della produzione, e come tale viene trattata. In alcuni casi può essere interessante aggiungere all’Auto-Tuneingenti quantità di riverbero e delay, come dimostrato dalla band americana Vampire Weekend.

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In entrambi i casi, che lo si utilizzi per correggere o per effettare, Auto-Tune ha bisogno di una scala armonica di riferimento (a meno che non lo si utilizzi in modalità cromatica). Per un corretto utilizzo bisogna quindi dare al software la tonalità giusta del brano, altrimenti l’algoritmo porterà la voce dell’interprete su note dissonanti. Proprio questo è in realtà ciò che è accaduto nel discusso caso Fedez, in cuil’Auto-Tune era impostato su una tonalità diversa rispetto a quella della canzone Sexy Shop. Le stonature dell’ex Ferragnez, quindi, non sono solo giustificate, ma erano proprio inevitabili. 

Quando l’Auto-Tune si usa “male”

Che vi piaccia o meno l’uso massiccio dell’effetto nelle canzoni, c’è un aspetto di cui proprio chi scrive non si capacita: l’Auto-Tune acceso mentre si parla col pubblico dal vivo. È usanza comune, tra molti artisti contemporanei, il comunicare col pubblico tenendo l’effetto attivato, rendendo surreale (e spesso incomprensibile) qualsiasi comunicazione avvenga dal palco. 

Arriviamo quindi  a un’altra importante domanda: chi gestisce l’AutoTune dal vivo?

In realtà non esiste una risposta univoca, e il tutto dipende dalle esigenze dell’artista. Gli effetti di correzione vocale possono infatti essere applicati in vari modi. I cantanti, per quanto sia raro nel mondo trap, possono applicare l’effetto direttamente dal palco tramite l’ausilio di pedali o multieffetto per la voce (si pensi al Boss Ve-20 o ai vari TC-Helicon VoiceTone). 

Più comunemente,l’effetto è invece gestito da chi manda le basi sul palco (che sia un produttore o un DJ), che raccoglie sul proprio mixer il segnale del microfono e lo effetta per il fonico di sala. In caso di grandi tour e produzioni importanti, è lo stesso fonico di sala a gestire il suono della voce nella sua interezza. Un caso su tutti è quello dei Depeche Mode, il cui mixer di sala prevede l’utilizzo di numerosi rack con i vari preset vocali (se vi siete chiesti come mai l’intro diPersonal Jesus è così maestoso anche dal vivo, ora avete una risposta).

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L’articolo Breve manuale per non fare figure di palta quando si usa l’Auto-Tune di Marco Brunasso è apparso su Rockit.it il 2024-09-12 11:43:00



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