Su Facebook solo due link gratis, il resto è a pagamento

Meta ha deciso di limitare quanti link è possibile pubblicare su Facebook. Si ha diritto a due link. Punto. Superata questa “generosa” quota, o ci si abbona a Meta Verified (a partire da 13,99 euro al mese) oppure si tace e si contempla il proprio feed in silenzio.

L’esperimento non è passato inosservato. Nell’ultima settimana diversi utenti hanno iniziato a notare la cosa. Matt Navarra, stratega dei social media con l’occhio clinico per le mosse discutibili delle Big Tech, ha subito acceso i riflettori sulla faccenda. Secondo gli screenshot che circolano, è ancora possibile condividere link di affiliazione (naturalmente, quelli fanno girare soldi), commentare con link e rimandare ad altri angoli dell’impero Meta: Facebook, Instagram, WhatsApp. Tutto il resto? Contingentato.

Meta ha confermato a TechCrunch che il test riguarda chi usa la modalità professionale e le pagine aziendali. La modalità professionale, per chi non lo sapesse, trasforma il profilo personale in un profilo “da creatore”, promettendo visibilità e audience.

È un test limitato per capire se pubblicare più link aggiunge valore agli abbonati Meta Verified, ha dichiarato un portavoce di Meta. In pratica vogliono vedere se la gente è disposta a pagare per fare quello che ha sempre fatto gratis.

Creator e brand che usano Facebook per rimandare ai propri blog, siti esterni o piattaforme terze si troverebbero con le mani legate. Due link e poi silenzio, a meno di abbonarsi a Meta Verified. Gli editori, per ora, sono esclusi dal test. Piccola consolazione: è possibile inserire i link nei commenti, quelli restano terra di nessuno.

La giustificazione ufficiale

Nel rapporto sulla trasparenza del terzo trimestre, Meta ha sventolato un dato che suona come un alibi: oltre il 98% delle visualizzazioni sul feed negli Stati Uniti proviene da post senza link. Quindi, ragionamento implicito, i link non contano quasi nulla. Ma c’è un dettaglio interessante, quell’1,9% di visualizzazioni con link arrivava principalmente da pagine che gli utenti seguivano attivamente. I link condivisi da amici o nei gruppi erano marginali.

Ora, se i link sono così irrilevanti, perché metterli dietro un paywall? La risposta è semplice, non sono irrilevanti per chi li pubblica. Con questo nuovo limite, Meta spinge creator e brand verso due opzioni: pubblicare contenuti nativi (meglio se video, dato che l’algoritmo li favorisce già spudoratamente) oppure pagare per mantenere il privilegio di mandare traffico altrove.

La verità è che il web basato sui link è in declino. Da quando l’intelligenza artificiale ha iniziato a sintetizzare contenuti invece di rimandarti alla fonte, l’editoria online sta affrontando una crisi esistenziale. Le ricerche AI danno risposte confezionate, senza bisogno di cliccare. I social network come X hanno già provato a penalizzare i post con link esterni, incoraggiando gli utenti a restare nella piattaforma.

Meta sta percorrendo la stessa strada, ma con un tocco in più di cinismo, invece di declassare i link nell’algoritmo, li raziona direttamente. E chi vuole sfuggire al razionamento, deve pagare. È un modello che trasforma una funzionalità basilare del web, come condividere informazioni attraverso collegamenti ipertestuali, in un servizio premium.

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