non è nostalgia, è coerenza

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Non è retromania. Non è revival. Il ritorno dei Co’Sang con un terzo disco non è il gadget allegato al biglietto degli attesissimi concerti di Piazza Del Plebiscito: questo disco sono i Co’Sang in purezza. C’è dentro lo stesso racconto di Napoli che ascoltavo nell’iPod un decennio e passa fa, la stessa intesa tra le barre di Ntò e quelle di Luchè, lo stesso discorso unico visto da due punti di vista, la stessa fotografia della vita e della città con due inquadrature vicine ma diverse. Dinastia, il nuovo album dei rapper di Marianella uscito oggi, è una celebrazione della rap culture che li ha cresciuti, ma anche che hanno contribuito a creare, da apripista insieme a pochi altri del rap napoletano che ora si è mangiato tutto: «n’ce pavavano ‘e treni, mo’ simm’o trend» (Non ci pagavano i treni, ora siamo il trend).

La celebrazione del ritorno èuna messa perfetta: metto le cuffie all’una di notte e il primo brano mi dà il tempo di riabituarmi, iniziando senza beat, tanto la ritmica è tutta nel flow di Luchè, per poi completarsi cinematograficamente con il beat e la voce di Ntò: alla fine di “Nu Criature int’o munno”, il cerchio è completato, non ho di nuovo diciott’anni, ma che brividino, di notte. Perché non è da sottovalutare: è il primo disco della band pubblicato nell’epoca dello streaming, disponibile all’una di notte, mentre all’uscita di Bona Vita e Chi More Pe Mmè c’era ancora il rito di andare ad acquistare il cd a Napoli centro. Eppure, il nuovo medium non ha scalfito minimamente la compattezza del disco in quanto opera unica, la transizione a Carne E Ossa ne è dimostrazione perfetta, col cambio di marcia dato dalla metrica più vicina alla classica e il campione preso dalla serieGomorra: “l’agg ‘itt ca turnavo! (L’ho detto che tornavo)”, e infatti: sono tornati, ma no, non l’avevano detto.

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La densità di tecniche e metriche diverse, come di metafore e immagini fotografiche per ogni strofa è incredibile, come la sequenza bizzarra che traspariva dai finestrini del 162 che mi portava alla metro, quando dai finestrini ogni attimo appariva una scena diversa: i pezzenti risaliti e le vele, i macchinoni e le stanze di cartoni per strada, uno dietro l’altra.Dinastia è celebrativo ma senza nostalgia, non ha lo stesso suono degli anni zero, ma anzi è perfettamente contemporaneo nelle produzioni, e se Luca e Antonio riflettono sul percorso fatto, insieme e lontani, gli ospiti – Marracash, Club Dogo, Liberato, Geolier – si tolgono il cappello per firmare l’importanza della band per il rap italiano con i titoli degli album storici che diventano appigli, checkpoint da cui ripartire, non medagliette da appendere alla giacca. Solo Cchiù Tiempo con i Club Dogo è celebrativa, usando un campione di Love it or hate itper far dialogare le due band più importanti del rap a Milano e Napoli, ma è più una lezione di storia, con citazioni di 99 Problems.

C’è la crescita umana e artistica, la riflessione sulla salute mentale, addirittura, temi che prima non avremmo letto nelle liriche del duo, ma che adesso sono perfettamente coerenti con i brani più conscious della scaletta, e sono vicini a un pubblico che è cresciuto, sia quello che li ascoltava quando erano in attività che quello arrivato dopo “il crollo dell’impero” del 14 Febbraio 2012, data dello scioglimento, citata sempre nel brano con i Dogo. Tra quei ragazzi avvicinatisi al rap e ai Co’Sang durante il loro hiatus c’è certamente Geolier, che duetta su Perdere ‘a capa, mentre il duetto con LIBERATO è una rara concessione al cantato pop, figlia delle esperienze da classifica di questi dodici anni.

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Il sospetto era che fossero tornati insieme per soldi, come i Gallagher, ma viene smontato: «Credevano ca era ‘nu bluff, n’operazione ‘e business, Luchè, sti sciem’ n’sanno nient, ‘o facimmo pe’ nuje stess», e l’urgenza è Non è un reboot fine a se stesso, ha tutti i codici del rap classico, quelli che proprio loro hanno insegnato a una intera scuola, ma anche negli episodi più classici mantiene l’equilibrio tra freshness e gratitudine ai capisaldi, senza apparire stucchevole o old school fuori dal tempo. L’effetto nostalgia è tutto nelle orecchie di chi ascolta, completamente non pervenuto nei testi e nei beat, è tutto nella mente di chi ha appaltato a quelle voci la colonna sonora di una città, ancora prima che ripulita e imbellettata diventasse la nuova meta preferita da tutti, ma quando era considerata brutta, sporca e cattiva. E i Co’Sang suoneranno sì nel salotto buono con show attesissimi – « i
.con il beat che entra più tardiinquadrata da due punti di vsold agVinte mila int’a nu quarto d’or a Plebiscito » – ma tornano nel Rione, per guardare cosa è cambiato, per sapere come stanno i ragazzini – Comme na fede – all’ombra dell’enorme scritta sulla felicità che non si può vedere. Ecco, proprio sotto quella scritta, al primo Red Bull 64 Bars Live, Wad suonò come omaggio un frammento di ‘Int’o rione, e il pubblico esplose, puro fan service.

Da questa mattina intravedo i messaggi dei miei conoscenti e coetanei, che si aspettavano qualcosa di diverso, non so perché. “E invecesono proprio loro, sembra non siano passati 12 anni“, è il messaggio che ho ricevuto stamattina da un’amica di quando andavo all’università. E non è retromania, è coerenza. Non è nostalgia, è un ritorno a casa con una consapevolezza nuova, quella di aver creato una scuola, di aver contribuito alla crescita di una scena figlia di quei due dischi. Appunto, una dinastia.


L’articolo Co’Sang: non è nostalgia, è coerenza di Marco Mm Mennillo è apparso su Rockit.it il 2024-08-30 14:22:00



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