Questa scena del Signore degli Anelli è in assoluto la più spaventosa della saga

Tra le molte ragioni che hanno reso Il Signore degli Anelli una delle saghe cinematografiche più amate di sempre, c’è la straordinaria capacità di Peter Jackson di fondere epica e intimità, meraviglia e terrore. L’universo di J. R. R. Tolkien, già di per sé ricco di miti, oscurità e speranza, sul grande schermo ha assunto una potenza visiva senza precedenti. Dal verde di Hobbiville alle fiamme di Mordor, la trilogia diretta da Jackson ha costruito un equilibrio perfetto tra la magia del fantasy e il realismo emotivo dei suoi protagonisti. Ma tra le battaglie, le fughe e i momenti di eroismo, esiste una sequenza che ancora oggi viene ricordata come la più spaventosa di tutta la saga: il viaggio attraverso le Miniere di Moria in La Compagnia dell’Anello.

È lo stesso Jackson ad averla indicata come la parte migliore mai scritta da Tolkien. Nel commento audio del film, il regista ne parla con evidente ammirazione: «È una sequenza grandiosa, evocativa. Probabilmente è la migliore sequenza del libro… È qualcosa che tutti ricordano dal libro». Parole che rendono bene la venerazione con cui il cineasta ha affrontato la sua amatissima trasposizione. Per lui, cresciuto leggendo Il Signore degli Anelli da adolescente, Moria rappresentava l’anima più cupa e potente dell’intera opera, una discesa negli abissi del mito e della paura.

Nel romanzo, la Compagnia è costretta a passare sotto i Monti Nebbiosi dopo che una tempesta impedisce il transito sul Passo di Caradhras. L’unica via rimasta è l’antico regno dei Nani, un tempo fulgido e prospero, poi trasformato in un labirinto infestato dagli Orchi e da un male ancestrale: il Balrog. Jackson ha colto perfettamente la progressione narrativa di Tolkien, dal mistero iniziale delle Porte di Durin fino al crescendo d’orrore che culmina nel duello sul Ponte di Khazad-dûm. La sequenza del Libro di Mazarbul, in particolare, è uno dei momenti più inquietanti dell’intera trilogia: un manoscritto trovato da Gandalf accanto alla tomba di Balin, in cui i Nani raccontano, riga dopo riga, la propria fine imminente. L’ultima annotazione, tremante, è una delle più terrificanti che Tolkien abbia mai scritto: «Non possiamo uscire. Non possiamo uscire. Hanno preso il Ponte e la seconda sala… La fine è vicina… Tamburi, tamburi nel profondo… stanno arrivando».

Per Jackson, che prima di dedicarsi alla Terra di Mezzo aveva diretto film horror come Bad Taste e Splatters – Gli schizzacervelli, questa sezione rappresentò un ritorno alle origini. Le Miniere di Moria gli offrirono l’occasione di evocare un orrore psicologico, più suggerito che mostrato, fatto di oscurità, claustrofobia e attesa. L’atmosfera opprimente, il suono lontano dei tamburi, le ombre che si muovono appena oltre la luce delle torce: tutto contribuisce a costruire una tensione crescente che esplode solo con il sacrificio di Gandalf.

Ancora oggi, a più di vent’anni dall’uscita del film, quella sequenza resta una delle più ricordate e amate dai fan. Non solo perché segna una svolta narrativa nella saga, ma perché mostra come Il Signore degli Anelli sappia spaventare con la stessa maestria con cui sa commuovere. Le Miniere di Moria non sono solo un luogo oscuro: sono il cuore pulsante della paura e della grandezza dell’intera trilogia. Siete d’accordo? Diteci la vostra, come sempre, nei commenti.

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