Nel mondo del cinema – ormai lo sappiamo benissimo – a volte è il passare del tempo a determinare o meno il successo di un’opera. Sono moltissimi, infatti, i casi di grandi classici che all’epoca sono stati accolti in maniera tiepida, se non addirittura snobbati e disprezzati, salvo poi essere rivalutati in un secondo momento, in contesti ed epoche diverse. È ciò che è accaduto a uno degli sci-fi/horror psichedelici più oscuri degli anni ’10, un vero e proprio trip inquietante che oggi, però, risulta più attuale che mai.
L’opera in questione è Beyond the Black Rainbow, diretto nel 2010 dal regista greco naturalizzato canadese Panos Cosmatos, al suo debutto alla regia di un lungometraggio. Descrivere la trama non è semplicissimo, poiché il film non ha un vero e proprio plot articolato, ma preferisce fondare il suo fascino soprattutto sulle atmosfere e le scene visionarie e psichedeliche. In ogni caso, l’ambientazione è l’Arboria Institute, una struttura di ricerca New Age fondata negli anni Sessanta da Mercurio Arboria e dedicata alla ricerca della “serenità attraverso la tecnologia” e al passaggio degli esseri umani a una nuova era spirituale. La storia si svolge venti anni dopo, negli anni Ottanta, e segue il dottor Barry Nyle (Michael Rogers), all’apparenza scienziato illuminato, in realtà psicopatico freddo e calcolatore che tiene prigioniera una giovane ragazza, Elena (Eva Allan). Quest’ultima possiede delle capacità psichiche di cui Nyle sta ancora cercando di comprendere la portata e le caratteristiche, sottoponendola a sessioni quotidiane di “terapia” e cercando di controllarla attraverso un dispositivo luminoso e prismatico situato da qualche parte nelle viscere dell’istituto.
All’epoca dell’uscita, Beyond the Black Rainbow è stato accolto con una certa indifferenza e con recensioni principalmente negative a causa dell’imperscrutabilità del plot, della “scarsa sostanza” e dello stile visivo, considerato un pastichedi altri film horror e sci-fi degli anni Sessanta e Settanta. A distanza di anni, però, tutti questi aspetti sono stati riconosciuti come i veri punti di forza dell’opera. Uno degli elementi più discussi è sicuramente la narrazione volutamente lenta, quasi ipnotica. Cosmatos stesso ha dichiarato che si tratta di una scelta intenzionale, che ha portato a ridurre il più possibile il plot vero e proprio per focalizzarsi piuttosto su uno stato onirico, quasi a voler indurre lo spettatore in una sorta di trance. Certo, per coloro che apprezzano le trame dinamiche e piene d’azione, questo è ancora lo scoglio più grande da superare per godersi il film, ma senza dubbio si tratta di una delle caratteristiche che hanno permesso ai cinefili di rivalutare l’aspetto artistico dell’opera.
Con il suo stile unico e le sue immagini al limite dell’horror, Beyond the Black Rainbow è anche un film che parla di noi e della nostra società, anticipando molti temi centrali del dibattito attuale. Il principale è sicuramente quello del controllo dell’identità e della repressione delle emozioni da parte delle tecnologie o di autorità pseudo-scientifiche, in nome di una falsa evoluzione spirituale. Attraverso un omaggio all’estetica LSD degli anni Settanta, il regista cerca di smascherare i falsi miti dell’epoca, quando scienza e spiritualità sembravano essere unite alla ricerca di un futuro migliore, che però, di fatto, si è rivelato soltanto una trappola deumanizzante.
«Arboria cerca di controllare la mente e la coscienza umana – ha spiegato il regista nel 2011. – C’è un momento di verità nel film, quando tutto inizia a disintegrarsi perché ormai l’obiettivo non è più il benessere dell’umanità, ma qualche scopo velenoso e irraggiungibile. È proprio questo il “Black Rainbow” del titolo: il tentativo di raggiungere uno stato irraggiungibile, che alla fine ci porterà probabilmente alla distruzione».
Fonte: Screen Rant
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