L’Italia sull’intelligenza artificiale potrebbe fare faville, ma cade sulle politiche per i lavoratori tech

Stando così le cose, in Italia c’è un numero sufficienti di talenti nell’intelligenza artificiale? “Non circoscriverei il discorso alla sola ‘quantità’ di talenti, ma estenderei la questione anche alla reale attrattività del sistema-paese”, ha detto a Wired Gianluca Maruzzella, amministratore delegato di indigo.ai. “Se davvero in Italia si desidera essere competitivi nell’Ia, allora si è chiamati a semplificare le regole per nutrire e incoraggiare i professionisti già presenti, creando un ecosistema che favorisca l’innovazione, la formazione e la ricerca, il trasferimento tecnologico e anche la collaborazione con aziende che stanno lavorando su queste tecnologie da anni. Questo cambio di passo consentirebbe di attrarre anche professionisti altamente formati provenienti da altri paesi e di incentivare il rientro delle ‘nostre’ menti che stanno lavorando lontano da casa”.

Molto simile è la visione del problema di Matteo Siciliani, co-fondatore e chief revenue officer di FairMind. “Il problema dell’Italia non è quantitativo, ma qualitativo e sistemico”, dice a Wired. “Con 156.000 emigranti nel 2024 contro 53.000 rientri, stando all’Istat, perdiamo sistematicamente i talenti che formiamo. Ma la questione è più sottile: stiamo assistendo al ‘paradosso dell’esperienza’ dove le aziende preferiscono agenti Ia per compiti junior, rischiando di non formare le future generazioni di professionisti”.

Il paradosso”, aggiunge, “è che l’Italia, dopo aver subìto la fuga di talenti, ha più che mai bisogno di importare talenti proprio mentre la competizione globale adotta politiche aggressive sui visti: nel giro di diciotto mesi questi professionisti lavoreranno da remoto per le Big Tech. Per una volta dobbiamo riuscire ad anticipare questa transizione, non rincorrerla”.

Ritratto del professionista nell’intelligenza artificiale

Ma cosa si intende, nel concreto, per “talenti dell’intelligenza artificiale”? Che cosa cercano, davvero, le aziende?

È innegabile la presenza di una forte competizione internazionale che attrae talenti all’estero. Ma la difficoltà principale che incontriamo nel ricercare professionisti specializzati in intelligenza artificiale”, spiega Maruzzella di indigo.ai, “riguarda la carenza di figure con una solida esperienza concreta su tecnologie altamente avanzate, come i modelli linguistici di grandi dimensioni. Ai lavoratori specializzati nell’intelligenza artificiale saranno sempre più richieste competenze trasversali che integrano un background tecnico, profonda conoscenza delle specificità dei modelli linguistici e comprensione dei temi etici alla base del dibattito sull’impatto dell’Ia”.

Per Siciliani di FairMind, “la sfida più significativa che affrontiamo è trovare profili che confermino soprattutto l’apertura mentale necessaria per sfruttare il potenziale degli approcci agentici abilitati dall’intelligenza artificiale. Il che significa, per un senior, riuscire a mettere in discussione drasticamente il modo in cui si sono fatte le cose fini ad oggi; per un junior, invece, riuscire a costruirsi una competenza seguendo approcci inediti. I lavoratori che cerchiamo”, specifica, “non sono prettamente degli ‘ipertecnici’, ma devono essere in grado di sfruttare il potenziale dell’Ia per colmare le competenze tecniche e riuscire a raggiungere una iper-produttività. Nel nostro settore la domanda si sta spostando verso profili ibridi che sappiano orchestrare ecosistemi multi-Ia, piuttosto che scrivere codice tradizionale”.

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