Archeologia e intelligenza artificiale, come stiamo usando l’AI per scovare nuovi tesori

Archeologia e intelligenza artificiale sembrano mondi distanti. Ma nel cuore di Venezia, al Centre for cultural heritage technology (Ccht) dell’Istituto italiano di tecnologia (Iit), si incontrano ogni giorno. Qui algoritmi e sensori aiutano a proteggere il patrimonio culturale da minacce moderne: dai trafficanti di reperti agli effetti dell’umidità e del tempo. L’intelligenza artificiale entra nei depositi dei musei e “osserva” dall’alto il terreno: non per ricostruire il passato, ma per salvarlo prima che venga cancellato.

Un laboratorio veneziano per l’Iit

Il laboratorio veneziano dell’Iit è nato nel 2019 con una missione operativa: applicare le tecnologie di AI al patrimonio culturale. Nel progetto europeo Rithms, ad esempio, l’intelligenza artificiale viene addestrata per supportare le autorità nell’individuazione di scavi archeologici clandestini e nel contrasto al traffico illecito di beni culturali.

Alla raccolta di dati da immagini satellitari si affianca anche una ricerca sistematica sui social network, dove l’AI e le tecniche di Natural language processing (Nlp) aiutano a identificare conversazioni e inserzioni sospette. Il metodo è simile a quello già usato per tracciare il commercio illegale di animali esotici: anche nel caso dei beni culturali, molte transazioni avvengono su canali chiusi, tra gruppi o messaggi apparentemente innocui, in cui però si celano elementi utili all’indagine.

Arianna Traviglia (Iit)

Iit

Archeologia e intelligenza artificiale dalla Puglia alla Siria

Il centro ha condotto ricerche sul campo in Italia, in particolare in Toscana, Puglia e Sicilia, aree dove gli scavi illeciti continuano a essere diffusi. Le analisi si concentrano su aree ad alta densità archeologica, come le necropoli etrusche ancora non esplorate. Queste attività sono supportate da tecniche di change detection: confrontando immagini satellitari nel tempo, l’AI riesce a riconoscere variazioni del suolo che potrebbero indicare scavi clandestini.

In parallelo, sono attivi progetti internazionali, come quello sviluppato sulla Siria, dove durante il conflitto sono stati documentati migliaia di casi di manomissione e saccheggio di siti archeologici. Questi dati, seppur riferiti a eventi passati, sono fondamentali per addestrare i modelli di riconoscimento. La metodologia è ibrida: algoritmi di machine learning e dati ambientali, ma anche immagini satellitari e proxy vegetazionali, cioè indicatori naturali che cambiano quando il terreno viene manomesso. A ciò si aggiungono elementi storici e sociali, come l’accessibilità dei siti o la loro esposizione al rischio economico e criminale.

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