Google ripiega sulla Privacy Sandbox di Chrome: hanno vinto i cookie di terze parti

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Google ieri ha annunciato una significativa inversione di rotta sul futuro della Privacy Sandbox, il progetto con l’obiettivo di migliorare la privacy online limitando i cookie di terze parti, riducendo il tracciamento tra siti e introducendo nuove API per la pubblicità mirata. Nonostante anni di sperimentazioni, pressioni normative e il coinvolgimento diretto delle autorità di regolamentazione, la promessa iniziale Google di eliminare i cookie di terze parti da Chrome non verrà mantenuta.

L’azienda ha infatti comunicato che non introdurrà un nuovo prompt specifico per chiedere il consenso all’uso dei cookie di terze parti e che “continuerà a offrire agli utenti la possibilità di scegliere l’opzione migliore per sé nelle Impostazioni di privacy e sicurezza di Chrome”. Il supporto ai cookie di terze parti resta dunque attivo, almeno per ora, e la loro rimozione non è più una priorità immediata.

Una sandbox cresciuta tra mille difficoltà

La Privacy Sandbox di Google, annunciata ufficialmente nel 2020, mirava a eliminare i cookie di terze parti in Chrome entro due anni, proponendo alternative come l’API Topics per il targeting pubblicitario. Tuttavia, il progetto ha incontrato critiche da parte di gruppi come Marketers for an Open Web, che lo consideravano una minaccia alla concorrenza online, e ha affrontato indagini antitrust negli Stati Uniti e nel Regno Unito.

Nel 2021, un’azione legale guidata dal Texas ha accusato Google di utilizzare la Privacy Sandbox per rafforzare il proprio monopolio nel settore pubblicitario.

Nel 2022, Google ha accettato anche una supervisione formale da parte delle autorità di regolazione britanniche: la CMA (Competition and Markets Authority) si è inserita nello sviluppo delle API della Privacy Sandbox, facendo impegnare Google a non eliminare i cookie di terze parti senza l’approvazione della stessa Autorità. L’ICO (Information Commissioner’s Office), invece, ha assunto un ruolo di consulenza tecnica e regolatoria, valutando la conformità delle soluzioni proposte da Google rispetto alla normativa sulla protezione dei dati personali.

Per dare maggiore contesto, la CMA si occupa degli aspetti concorrenziali, mentre l’ICO vigila sulla protezione dei dati personali e sulla privacy.

Nonostante i piani iniziali, e proprio per le critiche e le supervisioni ricevute, Google ha ritardato più volte la disattivazione dei cookie, citando la necessità di bilanciare le esigenze di privacy con quelle dell’ecosistema pubblicitario. L’anno scorso, infine, l’azienda ha annunciato che non avrebbe più disattivato i cookie di default, ma avrebbe offerto agli utenti la possibilità di scegliere.

La Privacy Sandbox non darà più una spallata ai cookie

La decisione di ieri di “ridimensionare” la Privacy Sandbox si fonda su una valutazione complessiva del contesto attuale. “Molto è cambiato da quando abbiamo lanciato la Privacy Sandbox”, ha spiegato Google. Riferendosi all’accelerazione nell’adozione di tecnologie che migliorano la privacy, l’emergere di soluzioni basate sull’intelligenza artificiale per proteggere la navigazione degli utenti, e l’evoluzione del panorama normativo globale.

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Inoltre, le divergenze emerse durante il confronto con editori, sviluppatori, regolatori e attori del settore pubblicitario hanno reso evidente quanto sia difficile trovare un compromesso condiviso. Senza contare che Google è stata recentemente accusata di monopolio proprio circa l’offerta delle pubblicità online, in una causa persa contro il Dipartimento di Giustizia statunitense.

Comunque, la Privacy Sandbox non scomparirà del tutto. Google continuerà a sviluppare le API introdotte nell’ambito dell’iniziativa – come Topics, Protected Audience e Attribution Reporting – anche se il loro ruolo “potrebbe cambiare nel supportare l’ecosistema”. Un nuovo piano di sviluppo sarà condiviso nei prossimi mesi, dopo ulteriori consultazioni con il settore, ha spiegato l’azienda.





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