In loving memory of Sergio Ricciardone, 1971-2025

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Ricordami, come sono infelice
lontano dalle tue leggi;
come non sprecare il tempo che mi rimane.
E non abbandonarmi mai…
Non mi abbandonare mai!
Perché la pace che ho sentito in certi monasteri,
o la vibrante intesa di tutti i sensi in festa,
sono solo l’ombra della luce

(Franco Battiato)

C’è un tempo di latenza che divide notizie come questa dal loro atterraggio emotivo. Il silenzio surreale di una stanza può custodire delicatamente una sorta di spaesamento, un senso di vuoto intraducibile. Pesantissimo. È qui che una telefonata può spezzare tutto: l’assenza si fa materica, è dolore. Lutto. La voce arranca, mi viene da piangere. 

Sergio Ricciardone ci ha lasciati ieri – 11 marzo 2025, all’età di 53 anni – dopo una lotta estrema e ingiusta contro un male che gli si è presentato brutalmente nella forma di un incubo troppo veloce, rivelatosi purtroppo così reale da trasformarsi in quel mostro che ce l’avrebbe portato via. Togliendogli prima le forze necessarie per condurre il percorso di C2C, il festival che aveva fondato e dirigeva; poi strappandolo all’amore della sua Christel e del loro strepitoso Marcello. Un sogno, una visione, una famiglia. La sua vita.

Sotto l’effige di C2C

“Da metà agosto il mio corpo si è preso la priorità”, mi aveva scritto a settembre. Non prima di ribadirmi che ci saremmo dovuti vedere a ottobre per la consueta conferenza stampa pre-festival, sempre un’ottima occasione per farsi un pranzo assieme. Preoccupato, gli avevo chiesto come stesse, sapendo di forzare quell’implicita richiesta di riservatezza che da sempre sceglieva per sè. “C’è un cambio di prospettiva”, chiosò. “Ci vuole un piano quinquennale”. 

Sergio amava fare gag, battute sofisticate che chiudeva con un sorriso compiaciuto. Parlando del famoso “genere musicale” di cui C2C si era fatto portavoce, diceva: “Diciamoci la verità, avant pop non significa altro che avanti popolo”. In salotto aveva appeso un magnifico poster della Democrazia Cristiana. 

Non uno strettissimo linguaggio musicale, ma un immaginario. Ecco come Sergio provava a invertire quel bias che derubricava la “musica elettronica” a fumoso e rumoroso fenomeno alternativo senza dignità, riuscendoci. Aveva capito i rave e ha cercato di spiegarli alle istituzioni, senza cedere di un millimetro in coerenza. I gorgogli delle comunità represse hanno bisogno di dialettica per provare a resistere all’usura del tempo, della fatica, all’aggressività della società e del mercato. Nel giorno della sua morte, gli è stato tributato un saluto ufficiale e commosso nell’aula della Camera: chissà come l’avrebbe commentato.

Talk pugliese. Da sinistra Carlo Pastore, Alfonso Lanza (direttore Primavera Sound), Sergio Ricciardone (direttore C2C), Cesare Veronico (Puglia Sounds)

Era affezionatissimo al padre che da Avellino si era trasferito a Torino facendosi valere all’interno di una città che certamente nel Dopoguerra non primeggiava in simpatie con gli immigrati meridionali. Era insomma un uomo formatosi nel migliore brodo novecentesco, la lezione gramsciana dell’istruzione, lo sguardo sempre proteso in avanti

Classe 1971, si era formato nella Torino laboratorio degli anni Ottanta, agitata dai primi fantasmi post-industriali, ma ancora ricca abbastanza per pensarsi grande, decisiva. Sottoculture, influenze internazionali, avamposto d’Europa. Spingono i sintetizzatori, macinano le drum machine: Sergio aveva trovato il suo posto nel mondo in quella community trasversale, transgenerazionale e in costante subbuglio che si stringeva attorno ai club. 

Fu DJ: “Ma suonavo solo svuotapista” (altra gag, ma in effetti smise). Fu artista, nei Drama Society che ebbero risonanza internazionale grazie alle pubblicazioni su Turbo Recordings, l’etichetta di Tiga. Fondò l’associazione culturale Xplosiva nel 2002, insieme a Giorgio Valletta e Roberto Spallacci. Da lì partì la storia di Club To Club, il festival che divenne la sua missione. 

Da sinistra: Guido Canali, Luca Baldini, Guido Savini, Carlo Pastore, Sergio Ricciardone

Impossibile riassumere così tanti anni di storia importante, gli stupefacenti risultati raggiunti. Forse pleonastico ma giusto citare qualcuno degli artisti non solo portati in Italia, ma raccontati e amplificati: Aphex Twin, Autechre, Kode9, Thom Yorke, Flying Lotus, James Blake, Nicolas Jaar, Arca, Sophie… Fra gli italiani Lorenzo Senni e Caterina Barbieri. Leggeva Preciado. Intuì una questione decisiva: “Io credo che il corpo delle persone sia veramente a rischio“, disse non immaginando che ad un certo punto sarebbe stato il suo a tradirlo.

Una cosa (una romanticissima gag?) che non riuscì mai a realizzare: una stanza in cui il DJ suona una sola canzone, There is a light that never goes out degli Smiths, e in cui si può entrare solo a coppie, per ballarla assieme. Sarebbe incredibile dedicargliela come tributo, ora.

Da organizzatore di Festival, ho sempre osservato il suo modo di lavorare, cercando affinità e divergenze anche rispetto alla mia esperienza in questo campo. Solo chi è imbarcato in questa insana follia degli eventi può conoscere la fatica e la determinazione necessarie a immolarsi in sfide monumentali, sfidando le multinazionali (da indipendenti) o la stanchezza che può derivare dal rischiare ogni anno l’osso del collo. Dopo il MI AMI 2024 mi chiamò e mi disse: “Dobbiamo scambiarci informazioni, dobbiamo condividere quello che sappiamo per affrontare le sfide del futuro: vedo tempi bui davanti a noi”.

Ne vidi anche i tratti più complessi. Non di rado fu protagonista di scambi tosti, colpi dati e ricevuti. Era stratega, scientifico, ma anche mistico (l’amore per Battiato!), ogni tanto superstizioso, ispirato da fascinazioni irrazionali ed estetiche.

Il nostro rapporto era sicuramente legato alla mia amicizia con Guido Savini – il suo fondamentale partner in crime di questi ultimi dieci anni, l’altra metà della direzione artistica, con lui ha costruito un tandem fenomenale. Guido: “Sergio ha sempre voluto fare il miglior festival del mondo”. Sergio, purtroppo già affaticato ed impossibilitato a presenziare all’ultimo Festival, in uno degli ultimi messaggi che mi ha mandato: “Support the man in charge, Guido”. Così sarà.

Esser loro amico è una fortuna, fare cose assieme una divertente conseguenza. Se ci penso alcune cose sembrano… gag, in senso ricciardonesco. Ho moderato nel 2017 un talk con Arca, Wolfgang Tillmans e lo stesso Sergio, per dire. Sono stato coinvolto nel lancio della terza maglia della Juventus, la nostra unica fede comune, scattando foto – come fossi un calciatore vero – al Teatro Carignano e leggendo un testo scritto a sei mani con Max Dax, che citava Alda Merini. La poesia non è mai mancata

Una delle sue preferite, di Alda, è dedicata allo spazio/tempo che lo aveva cresciuto, quello in cui è più libero ballare, ed è più bello essere liberi.

 

La cosa più superba è la Notte,
quando cadono gli ultimi spaventi
e l’anima si getta all’avventura.

Sergio e Carlo nel 2016

Il lascito è immenso, il dolore altrettanto. Scriverne mi ha fatto bene, per un attimo mi è sembrato che fosse ancora qui con noi. E invece a Torino c’è sua moglie Christel, c’è il loro piccolo Marcello. Mi si stringe il cuore al solo pensiero. Del bimbo diceva che fosse la sua più bella cosa mai fatta, di Christel che fosse la migliore, l’unica con Studio Grand Hotel capace di trasformare in immagini la loro visione.

Guardate il simbolo di C2C, sembra una creatura che si leva in volo. Chissà dove va.

Buon viaggio, Sergio. Ci mancherai.


L’articolo In loving memory of Sergio Ricciardone, 1971-2025 di Carlo Pastore è apparso su Rockit.it il 2025-03-12 09:02:00



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