Tutto quel che conta nella musica sono energia e condivisione

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Chris Obehi è un nome d’arte, il suo vero nome è Christopher Goddey, è nato in Nigeria nel 1998.
Il suo primo contatto con la musica è stato con il gospel, cui è stato introdotto dalla famiglia. Nel 2015 è fuggito dal suo Paese a causa delle persecuzioni religiose di Boko Haram, è giunto prima in Libia, quindi a Lampedusa e infine a Palermo. Qua ha iniziato a girare per jam session, si è fatto notare come bassista. Ha studiato contrabbasso al conservatorio Alessandro Scarlatti, mentre con la chitarra si è dato da fare da autodidatta. Si è avvicinato alla tradizione siciliana, imparando le canzoni di Rosa Balistreri, poi ha mischiato questo retaggio con le sue radici africane. Ha scritto e cantato musica in italiano, inglese, siciliano, Esan e Pidgin nigeriano. Ha all’attivo un album, del 2020, e alcuni singoli.

Quello che, invece, la sua biografia non può spiegare è quanto la sua musica riesce a fare arrivare al pubblico. Lo sa bene, invece, chi lo ha visto dal vivo nella sua Palermo, città in cui si esibisce spesso, o in giro per l’Italia. A Milano, ad esempio, dove Chrisè stato protagonista della finale di Palchibelli24, il contest organizzato da Ostello Bello con Rockit e Tuborg, che l’artista nato in Nigeria ha vinto lo scorso 6 dicembre.

È stata un’edizione da record, con mille band candidate e ben 36 che si sono esibite in 16 serate tra Palermo, Napoli, Milano e Genova. Ci sono stati concerti interessanti e un sacco di pubblico, per una “competizione” che vanta mille sonorità diverse e alcune proposte davvero inedite per simili palchi. Quella di Chris è una di queste, con il suo afrobeat contaminato da mille altre influenze, dove oltre alla sua figura – canta e suona il basso come una macchina – emergono quelle della super band, che lo accompagna, formata da sei ottimi musicisti tutti provenienti dalla Sicilia. 

In una finale dal livello molto alto – oltre a lui, anzi a loro, c’erano Gioia Lucia, Spirytus96 e Nearby Planets –, davanti a una sala stracolma dell’Ostello Bello di via Medici a Milano, Obehi ha trasmesso una scarica di energia davvero rara, per un set magnetico. Per celebrare la sua vittoria – che gli vale, tra le altre cose, un premio da duemila euro –, gli abbiamo fatto un’intervista. 

 

Come avete festeggiato?

Abbiamo festeggiato stando insieme, come sempre, raccontandoci i momenti più belli, più divertenti e chiacchierando con il pubblico e gli altri musicisti. Eravamo molto felici e super carichi e ci siamo portati quest’energia il giorno dopo a Messina, dove abbiamo suonato al Retronouveau.

Hai detto delle parole bellissime dopo la gara. Perché, come hai spiegato, è cosi importante questo riconoscimento per te?

Palchibelli è stato un contest che mi ha dato la possibilità di far conoscere la mia musica a nuove persone e mi ha fatto conoscere altri artisti emergenti e condividere con loro il palco è stato magico. Sono stato contento anche che questo contest non ha messo limiti per i componenti dei gruppi e questo mi ha dato la possibilità di suonare con la mia big band di 7 elementi. Ciò che è più importante per me è la condivisione, perché dalla condivisione nascono emozioni e nuove idee. Ostellobello, voi di Rockit e Tuborg Italia siete riusciti a creare una situazione ideale per condividere musica, energia, groove ed emozioni.

Che cos’è stata e cos’è la musica per te?

La musica è sempre stata la mia missione, fa parte di me da sempre, per me è parte del mio destino. È un segno che porto dentro nel mio nome tradizionale, tanto che ho deciso di farlo diventare il mio nome d’arte. Obehi in Esan, la mia lingua madre, significa mano d’angelo. e per un musicista e cantautore credo che portare questo nome sia un segno divino. Sono una persona generalmente timida e riservata e soltanto con la musica riesco davvero ad esprimere liberamente le mie emozioni, a raccontare storie per lanciare dei messaggi a chi l’ascolta.

Come definisci la tua musica?

La mia musica è un incontro di generi musicali come l’afrobeat, l’afro funk, l’afro pop, il reggae e la musica tradizionale. Amo mescolare lingue diverse all’interno delle mie canzoni, dall’inglese, al pidgin, all’italiano ma anche altre lingue africane come l’Esan, la mia lingua madre. Queste mescolanze sono fondamentali per me per creare incontri tra culture diverse, per produrre qualcosa di nuovo e allo stesso tempo che abbia rimandi a delle tradizioni.

Com’è nata la tua band? 

La mia band è nata da incontri creati sempre grazie alla musica, situazioni dove ci siamo trovati a suonare insieme anche per altre band. Ci siamo scelti, ho sempre voluto che la scelta fosse reciproca, per avere attorno a me persone che credono realmente nel progetto e sono pronte a sperimentare, condividere e creare insieme. Per me è molto importante circondarmi di musicisti che suonano con il cuore, che si lascino trasportare dalla musica. Ciò che valuto anche è come io mi sento con loro, il loro lato umano. Alla base della musica e delle relazioni umane c’è sempre l’energia.

Come avete creato questo suono?

L’ispirazione arriva anche quando meno me lo aspetto: per strada mentre cammino, mentre vado in bicicletta o in qualsiasi azione quotidiana. Quando arriva, mi fermo e comincio a canticchiare il ritmo che ho in testa o le parole e incomincio a registrarle sul mio telefono per lasciarne traccia. Di solito poi ci lavoro su, improvvisazione su improvvisazione. Mi occupo io di creare i miei beat, ma poi, anche grazie a momenti di condivisione con i miei musicisti, nascono nuove cose. Infatti ciò che ci piace fare di più sono degli incontri dove suoniamo e improvvisiamo per la maggior parte del tempo perché così sono nate le idee migliori. Le contaminazioni musicali sono nate grazie all’incontro delle nostre storie musicali e vissuti personali differenti. Essendo un polistrumentista (il mio strumento è il basso, ma suono anche chitarra, batteria, percussioni e pianoforte) spesso faccio sentire ai miei musicisti cosa ho in testa e lavoriamo partendo da ritmi che all’inizio ad alcuni erano sconosciuti perché facenti parte della tradizione africana.

Che città è Palermo e come ti ispira?

Palermo è una città multiculturale da sempre. storicamente è stata un luogo d’incontro di culture, tradizioni e lingue diverse. Questa sua multiculturalità si respira ancora oggi, ed è una città generalmente aperta. Traggo ispirazione semplicemente vivendo la città e osservandola. Spesso però il contatto con la natura e l’avere la possibilità di ascoltarla mi ispira molto, per questo mi piace anche andare fuori Palermo. I luoghi che hanno una loro storia, un loro vissuto mi ispirano molto, mi piace ascoltare le loro vibrazioni.

Metti assieme tradizione siciliana e musica africana. Come nasce questo incontro?

Nasce dalla mia storia, da quando ho deciso di lasciare il mio Paese per raggiungere l’Europa e sono arrivato in Sicilia. A Palermo un mio amico musicista, Francesco Riotta mi ha fatto conoscere la musica di Rosa Balistreri, cantautrice della tradizione siciliana. Ascoltando Cu ti lu dissi ho subito notato delle sonorità che mi ricordavano la musica tradizionale africana e ho capito che il folk siciliano e i ritmi africani avevano qualcosa in comune.

Cos’e l’afrobeat e chi è Fela Kuti per te?

Fela Kuti è il padre dell’afrobeat e per me, che sono nigeriano, è sicuramente una grande fonte d’ispirazione. L’afrobeat è una forma di story telling, un modo per raccontare e denunciare ciò che non va nella nostra società. Con l’afrobeat si possono lanciare dei veri e propri messaggi sociali e politici e il bello è che la canzone spesso non è sempre uguale perché chi la sta cantando può aggiungere parti nella narrazione. C’è però una differenza tra afrobeat e afrobeats: il primo è quello originario, tradizionale di Fela Kuti; il secondo invece è quello moderno, dove nella maggior parte dei casi si è persa l’importanza di diffondere un messaggio ma che ha un ritmo che mantiene viva l’attenzione e trasporta chiunque a ballare.

Qual è il tuo sogno?

Vorrei viaggiare con la mia musica, portarla dappertutto. Sicuramente uno dei miei obiettivi è quello di far conoscere la mia musica anche fuori dall’Italia. Vorrei avere la possibilità di salire su palchi di festival internazionali e collaborare con artisti sia in Italia che all’estero. La condivisione è sempre alla base di tutto.


L’articolo Chris Obehi: “Tutto quel che conta nella musica sono energia e condivisione” di Redazione è apparso su Rockit.it il 2024-12-18 12:33:00



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